Politica

Viene la tentazione di proporre il Sanremellum come sistema elettorale

Alla fine, viene la tentazione di proporre il Sanremellum come sistema elettorale per il Parlamento italiano. Ma bisogna partire dall’infanzia: il festival di Sanremo è come la famiglia. Da piccoli ci si sta dentro come fosse una coccola. Crescendo lo si rifiuta con la più ribelle delle ribellioni. Poi lo si recupera con ironia giocosa, un po’ per gioco, un po’ perché si ha letto Umberto Eco che ha mischiato Alto e Basso e ha scritto che al festival si shakera “mercato della pace e mercato delle rose” e si mettono “le mutande di Bob Dylan a Nunzio Filogamo” (per chi sa chi è).

Così succede che torna divertente assistere alla maratona canora e spettegolare (un po’ con gli amici, un po’ via Twitter) di cantanti e canzoni, musica e parole, abiti e tic. Così succede che, alla fine, ti scappa un tweet di gioia, intanto perché finalmente è finita e poi perché non ha vinto il Volo: non mi hanno fatto niente, quei tre, ma non li sopporto. Se è un gioco, lasciateci giocare, vale tutto senza proprio dover spiegare perché: non è mica l’analisi costi-benefici del o della Tav.

Unisci anche la gioia perché a battere gli insopportabili tenorini è stato un ragazzo del Gratosoglio, madre italiana e padre egiziano. Gioia e gaudio, perché la vittoria di Mahmood smentisce l’onnipresente Matteo Salvini, che mette becco su tutto, indossa tutte le divise, anche la giacca damascata da conduttore di Sanremo: prima tifava il Volo, poi aveva previsto la vittoria di Ultimo (senza colpa di quest’ultimo) e aveva criticato la Rolls Royce stupefacente di Achille Lauro (“È terribile, mi fa schifo solo l’idea”).

E invece vince Mahmood. Alla faccia dei razzisti, che si scatenano. Mi risponde via tweet un garbato ragazzotto: “#Mahmood ha vinto per il semplice fatto di non essere italiano, come l’anno scorso #ErmalMeta. Ed entrambe le canzoni sono emerite cagate. Avete rotto con questo continuo spot in favore dell’integrazione. State causando pericolosi rigurgiti razzisti”. E va bene. Segue la zuccherosa che tifa tenorini: “Non si fa un po’ schifo? Quelli come lei che non fanno altro che infangare il nostro meraviglioso paese perché non se ne vanno dove pensano di stare meglio? Per pura conoscenza i ragazzi del VOLO sono un onore per l’Italia e non come lei che la disonora”. E grazie. Svetta su tutti la Maria Giovanna Maglie, che cinguetta: “Un vincitore molto annunciato. Si chiama Maometto, la frasetta in arabo c’è, c’è anche il Ramadan e il narghilè, e il meticciato è assicurato. La canzone importa poco. Avete guardato le facce della giuria d’onore?”.

E così chi sperava di svagarsi per una (interminabile) sera, senza dover pensare ai francesi che s’incazzano, al reddito di cittadinanza, a quota 100 e allo spread, si ritrova gettato nella politica come Heidegger nell’Aperto. Perché facevo finta di averlo dimenticato, ma c’è più politica in una canzone (qualunque) che in una assemblea del Pd. E perché, ahimé, anche il capo dei Cinquestelle, per non essere da meno del suo compagno di contratto, esterna su Sanremo: “Il mio vincitore è Cristicchi, per la musica che mi ha regalato in questi giorni di viaggi e impegni lavorativi”.

Il mio vincitore è Appino di Zen Circus, anche se stavolta ha sbagliato la canzone. Amen, ognuno può dire la sua. Ma Di Maio s’allarga e va a criticare il sistema di voto sanremese, rinnovando l’opposizione tra élite e popolo: “La giuria, composta da critici musicali del calibro di Beppe Severgnini, e la sala stampa hanno totalmente ribaltato il risultato del televoto. Non ha vinto quello che voleva la maggioranza dei votanti da casa, ma quello che voleva la minoranza della giuria, composta in gran parte da giornalisti e radical chic”.

D’accordissimo su Severgnini, che non meritava l’onore della citazione. E i radical chic li odio perché non sono né radical né chic. Però a me pareva una buona idea mischiare Alto e Basso, Bob Dylan e Nunzio Filogamo, televoto e giuria di qualità (vedi Mauro Pagani), perché la maggioranza vota quello che già conosce, le minoranze invece propongono cose che la maggioranza non ha ancora ascoltato.

Bel sistema, il Sanremellum. Lo si può usare a Sanremo perché Sanremo è un gioco e nel gioco si può sperimentare. Nella democrazia no: uno vale uno, tutti sono uguali davanti alla legge, il suffragio è universale e il re filosofo si chiama dittatore. Ma a Sanremo lasciateci giocare, così accanto al Volo sul podio possiamo vedere anche Mahmood.