Politica

Esteri, il governo chiarisca i suoi obiettivi. Il rischio è l’irrilevanza

di Eugenio D’Auria *

Con il richiamo del Presidente Sergio Mattarella circa l’esigenza di collaborare con gli altri Paesi membri Ue a una posizione condivisa sulla crisi venezuelana, dovrebbe essersi conclusa una delle più convulse e contorte vicende della politica estera italiana. In questo caso neanche le conclamate doti di equilibrismo del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte sono riuscite a comporre divergenze che non hanno certamente contribuito a rafforzare il prestigio del nostro Paese nel mondo.

L’agenda dell’imminente voto per le Europee sembra aver prevalso su quello che dovrebbe rappresentare l’interesse unitario di tutte le forze politiche, in particolare quelle con responsabilità di governo. La vicenda non è purtroppo la sola a creare perplessità sulla capacità della coalizione giallo-verde a gestire le delicate problematiche di politica estera. Pur facendo astrazione dal complesso confronto, a volte inutilmente duro, instaurato con la Commissione Ue, i casi dei rapporti con la Francia e la Germania e la questione del ritiro delle nostre truppe dall’Afghanistan hanno alimentato una sensazione di incertezza circa le reali intenzioni dell’Italia in tema di alleanze. Inoltre, gli scambi polemici con Parigi e Berlino sulla tematica del seggio al Consiglio di Sicurezza alle Nazioni Unite non hanno di certo contribuito a rendere più chiare le nostre posizioni.

Alla vigilia di nuovi equilibri ai vertici della Commissione a Bruxelles e in presenza di cambiamenti rilevanti negli assetti geo-strategici mondiali, sarebbe invece opportuno disporre di un quadro organico di priorità in politica estera, al fine di elaborare le conseguenti iniziative e concepire le alleanze più utili per i nostri interessi.

In campo europeo, ad esempio, le conseguenze della Brexit avranno riflessi rilevanti sugli equilibri di potere a Bruxelles, e un’accorta azione da parte nostra potrebbe consentirci di creare delle aggregazioni capaci di controbilanciare il peso del direttorio franco-tedesco. La situazione in Medio Oriente e in Nord Africa offre analoghe possibilità di manovra, per di più in uno scacchiere di prioritaria importanza sotto il profilo energetico e dei flussi migratori.

Alle Nazioni Unite, infine, si gioca la partita della riforma dell’Organizzazione, in particolare del Consiglio di Sicurezza. Negli scorsi anni abbiamo condotto un’azione molto efficace, sviluppata su diversi piani. Siamo infatti riusciti a coagulare il consenso di un elevato numero di Paesi intorno a una proposta che mirava a rendere più efficiente e più rappresentativo il massimo organo decisionale dell’Onu; abbiamo inoltre ben utilizzato le rivalità presenti fra membri a noi contrapposti e abbiamo infine ben sfruttato le nostre relazioni con Stati Uniti, Russia e Cina, i tre Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza capaci di bloccare con il loro veto eventuali decisioni a noi sfavorevoli.

Su tutti questi scacchieri abbiamo sfruttato al meglio la nostra duttilità e i punti di forza costituiti, fra l’altro, da una tradizionale presenza fra i maggiori donatori a favore dei Paesi in via di sviluppo, dalla nostra partecipazione alle missioni di pace decise dalle Nazioni Unite e dal sostegno a campagne di grande rilievo, quale è stata quella che ha portato alla moratoria sulla pena di morte.

La situazione attuale è alquanto mutata rispetto al quadro sopra delineato, e occorre tener conto dei nuovi parametri di riferimento per creare una piattaforma strategica adatta ai nuovi scenari.
L’improvvisa dichiarazione della ministra Elisabetta Trenta circa il ritiro delle nostre truppe impegnate in Afghanistan non costituisce un semplice sgarbo protocollare nei riguardi del ministro Enzo Moavero, quanto piuttosto un errore di fondo, perché ha dato l’impressione ai nostri partner di una decisione unilaterale e improvvisa.

La storia della nostra presenza a KabulHerat meritava invece ben altra considerazione, non soltanto per i nostri caduti su quel fronte. Una presentazione coordinata e meglio preparata avrebbe infatti permesso di evidenziare pienamente il nostro importante contributo a un’azione internazionale impostata non solo a contrastare i Taliban e l’Isis, ma anche a facilitare lo sforzo degli afghani verso la costruzione di uno Stato moderno. Il sostegno offerto da nostri esperti in tale settore, in particolare per il rafforzamento e la modernizzazione delle istituzioni nel settore della giustizia, è stato da tutti apprezzato e valutato molto positivamente.

Analoghe considerazioni possono essere formulate per l’azione svolta nell’Iraq del dopo Saddam, per la salvaguardia dei siti archeologici e il recupero dei beni trafugati. L’esperienza e la capacità dei nostri esperti hanno consentito di ridurre i danni arrecati e di disporre di dati fondamentali per le azioni necessarie a far rientrare i beni nei musei iracheni.

Altri esempi potrebbero essere indicati, ma ciò che è importante evidenziare è la nostra capacità di intervenire efficacemente in settori ben definiti e strategicamente rilevanti per i Paesi destinatari dei nostri aiuti. Sarebbe quindi necessario utilizzare adeguatamente tali punti di forza inserendoli in un quadro organico richiamato in precedenza. Il peso specifico dell’Italia in campo internazionale ne uscirebbe molto rafforzato e consentirebbe pertanto di tessere alleanze durature per conseguire i nostri obiettivi prioritari. A condizione, naturalmente, che le forze di governo individuino con precisione gli obiettivi, perseguendoli poi in maniera unitaria e con determinazione.

* Già ambasciatore in Arabia Saudita