Economia

Manovra, 4 miliardi di coperture da banche e assicurazioni. Dalla pace fiscale solo briciole: 180 milioni l’anno

La legge di Bilancio "dimagrisce" di 3,2 miliardi rispetto agli annunci. La maggior parte delle entrate, al netto dei 21,8 miliardi di deficit, arriverà dalla spending review su ministeri ed enti locali e da una stretta fiscale sul comparto del credito. Sul fronte delle uscite, la flat tax al 15% vale 540 milioni ma l'abrogazione dell'Iri che avrebbe dovuto entrare in vigore nel 2019 farà risparmiare allo Stato 2 miliardi. La pressione fiscale non cala

La manovra per il 2019 sarà più magra di quanto calcolato una settimana fa dal ministro dell’economia Giovanni Tria: 33,5 miliardi di maggiori spese contro i 37 annunciati. Questo perché le coperture, al netto dei 21,8 miliardi di deficit aggiuntivo, si fermano sotto i 12 miliardi contro i 15 sperati. E dalle tabelle del Documento programmatico di bilancio inviato lunedì notte alla Commissione europea emerge che il grosso arriverà da non meglio definiti tagli ai ministeri e agli enti locali (3,5 miliardi complessivi) e da una forte stretta fiscale sulle banche, che costerà agli istituti quasi 3,3 miliardi. Altri 900 milioni saranno a carico delle compagnie assicurative. Mentre le piccole aziende non godranno dei vantaggi previsti dall’Imposta sul reddito imprenditoriale (Iri) al 24% che avrebbe dovuto entrare in vigore nel 2019, sostituendo le normali aliquote Irpef applicate ai redditi di impresa. Lo Stato risparmierà in questo modo 2 miliardi. Salterà anche l’Aiuto alla crescita economica, che consentiva di dedurre dal reddito d’impresa una quota del nuovo capitale investito in azienda: al suo posto arriva l’Ires ridotta (dal 24 al 15%) sulla quota di utili reinvestiti o utilizzati per nuove assunzioni. Il risultato finale sarà un maggiore gettito per l’erario. Terza rottamazione e pace fiscale invece porteranno solo briciole, a dispetto delle stime iperboliche dei mesi scorsi: appena 180 milioni nel 2019.

Nel Documento non è citata l’aliquota agevolata del 5% per le start up annunciata nelle scorse settimane: potrebbe essere prevista dal decreto legge per la “deburocratizzazione” approvato dal consiglio dei ministri lunedì sera, visto che il comunicato fa riferimento a “riduzione oneri per le start-up, le piccole e medie imprese innovative e gli incubatori”.

Le uscite: 13,4 miliardi a quota 100 (con “finestre”) e reddito – Sul fronte delle uscite a fare la parte del leone resta la sterilizzazione degli aumenti di Iva e accise previsti dalle clausole di salvaguardia per il 2019 (12,4 miliardi), seguita dalle misure simbolo di Lega e M5s: i pensionamenti anticipati con quota 100 e il reddito di cittadinanza. Per ognuna vengono stanziati 6,7 miliardi, a cui nel caso del reddito si aggiungeranno i 2,6 miliardi che sarebbero altrimenti stati destinati al Reddito di inclusione del governo Gentiloni. Si arriva così a 9,2 miliardi, al netto del miliardo aggiuntivo per il potenziamento dei Centri per l’impiego che non è cifrato nel Documento ma stando al comunicato del consiglio dei ministri di lunedì arriverà da una riduzione delle spese militari. Il conto di quota 100 è ridotto rispetto alle attese perché le uscite anticipate saranno scaglionate su quattro “finestre” temporali, cioè il periodo che va dalla data di maturazione dei requisiti alla liquidazione dell’assegno.

Per la flat tax solo 540 milioni – L’elenco delle maggiori uscite prosegue con investimenti pubblici aggiuntivi per 2,18 miliardi “a livello nazionale” e 1,27 miliardi a livello territoriale. Le misure di ristoro per i risparmiatori danneggiati dalle banche liquidate o messe in risoluzione sono invece cifrate zero nel 2019 e 360 milioni nel 2020 e 2021, anche se il comunicato del cdm di lunedì cita “un fondo da 1,5 miliardi per risarcire tutte le vittime delle crisi bancarie”.
L’estensione del regime forfetario del 15% (flat tax) a commercianti, piccoli imprenditori e professionisti con partita Iva con ricavi sotto i 65mila euro vale poi, in termini di minori entrate per l’erario, solo 540 milioni nel 2019. La cifra è poi prevista in salita a 1,8 miliardi nel 2020 e dovrebbe assestarsi a 1,27 miliardi nel 2021. Le aziende che investono e assumono lavoratori avranno poi diritto a un’aliquota Ires più bassa, del 15% contro il 24% attuale, ma solo per la quota di utili reinvestita in beni strumentali nuovi e in nuova occupazione.

Le coperture: via l’Aiuto alla crescita economica e l’Iri… – La pressione fiscale, a conti fatti, non calerà: nella tabella di pagina 15 si legge che resterà al 41,8% del prodotto interno lordo come quest’anno. Infatti se da un lato il governo gialloverde va incontro alle partite Iva e disinnesca le clausole di salvaguardia, dall’altro progetta di ricavare una parte corposa delle maggiori entrate dalla revisione di trattamenti fiscali di favore già in vigore o in programma. L’Ires ridotta per chi investe o assume, per esempio, andrà in parallelo con l’abrogazione dell’Aiuto alla crescita economica (Ace) introdotto da Monti, che premia la ricapitalizzazione delle imprese e secondo Il Sole 24 Ore vale 1,5-2 miliardi. Risultato: nel Documento programmatico si prevede che la “tassazione agevolata degli utili reinvestiti” con contestuale eliminazione dell’Ace non determini un vantaggio per le imprese ma per lo Stato, che incasserà 180 milioni in più nel 2019 e 364 in più nel 2020.
Viene poi eliminata anche l’Iri, l’imposta sul reddito imprenditoriale, che dal 2019 avrebbe ridotto al 24% il trattamento fiscale degli utili reinvestiti in azienda facendo risparmiare 2 miliardi ai piccoli imprenditori, srl e piccole società di capitali (sostituendo l’Irpef). Stando al Documento “il regime opzionale Iri è sostanzialmente superato dall’introduzione della flat tax, che prevede per piccole imprese e lavoratori autonomi un’aliquota più favorevole, ed è accompagnata dalla tassazione agevolata degli utili reinvestiti per le imprese”. Ma la flat tax nel 2019 porterà vantaggi fiscali inferiori a 600 milioni.

…e un conto da 4 miliardi per banche e assicurazioni – A pagare il conto più salato sarà però il comparto del credito. Il governo per prima cosa rinvia la deducibilità del 10% dell’ammontare di svalutazioni e perdite su crediti ai fini dell’Ires e dell’Irap, poi spalma su 10 anni quella della riduzione di valore dei crediti e delle altre attività finanziarie dovuti ai nuovi principi contabili Ifrs9. Due interventi che aumentano di fatto la tassazione a carico delle banche di 2 miliardi nel 2019. La tabella del Dpb riporta poi un’altra voce “interventi fiscali sulle banche” su cui non ci sono dettagli ma dalla quale si conta di incassare altri 1,27 miliardi. Per le compagnie assicurative arriva invece un aumento dal 59 al 75% nel 2019 dell’aliquota di acconto dell’imposta sui premi incassati, che nel 2020 salirà ulteriormente al 90% e nel 2021 toccherà il 100%. L’esborso aggiuntivo per le assicurazioni ammonta nel primo anno a oltre 900 milioni.

Bottino magrissimo dalla pace fiscale – Al contrario la nuova rottamazione delle cartelle e la pace fiscale che secondo il vicepremier Matteo Salvini avrebbe dovuto fruttare 20 miliardi frutteranno molto poco: la definizione agevolata con rate spalmate su 10 anni porterà introiti pari a zero nel 2019, che dovrebbero salire a un miliardo l’anno successivo, mentre chiusura delle liti pendenti, definizione agevolata dei processi verbali di constatazione e “altre misure minori” porteranno nelle casse dello Stato solo 180 milioni in più ogni anno. Nel Dpb non c’è traccia però della dichiarazione integrativa consentita anche a chi ha nascosto fino a 100mila euro, annunciata lunedì sera. Assente anche qualsiasi riferimento al taglio delle pensioni d’oro, da cui fonti di Palazzo Chigi hanno fatto sapere che si ricaverà 1 miliardo in tre anni.