Giustizia & Impunità

Corruzione, i grandi scandali impuniti. Da Expo al Mose a Mafia capitale, quando il patteggiamento salva dal carcere

Condannati, a volte rei confessi, per i più grandi scandali degli ultimi anni. Eppure liberi, o affidati in prova a servizi sociali. Perché se il codice prevede pene severe per i tangentisti, il rito alternativo le abbatte e apre la strada ai benefici. Così, due anni dopo la condanna per l'esposizione milanese, Primo Greganti attende libero che il tribunale decide sull'esecuzione della pena. Fuori anche il "collega Frigerio". E De Gregorio, colpevole di aver venduto la sua carica di senatore per far cadere Prodi? Venti mesi con pena sospesa. Mentre Galan, al centro dello scandalo veneziano, sconta due anni e 10 mesi, ma ai domiciliari. E così via. L'avvocato Coppi: "E' il meccanismo farraginoso della giustizia". Davigo: "In Italia le cose vanno così"

In alcuni paesi del mondo la corruzione è punita con l’ergastolo o anche la pena di morte. Casi estremi, lontani dalla civiltà giuridica italiana. Ma forse non tutti sanno che anche il nostro codice penale – tra uno spacchettamento e una depenalizzazione – punisce più o meno severamente la corruzione: basti pensare che nei casi più gravi – per esempio la corruzione in atti giudiziari aggravata – la pena massima può arrivare a 20 anni.

Eppure tutti i grandi scandali dove gli appalti sono stati inquinanti da bustarelle, dove i soldi pubblici a volte sono stati utilizzati per finanziare campagne elettorali, dove i colletti bianchi ubbidivano a logiche da criminalità organizzata, si sono dissolti in pene che raramente superano i 3 anni. E in carcere, corrotti e corruttori, nella maggior parte dei casi ci sono finiti soltanto prima di essere giudicati: in regime di custodia cautelare.

Senza contare che in qualche caso, vedi Primo Greganti per Expo, i condannati non hanno neanche iniziato a scontare la pena perché a due anni dalla sentenza non è stata stabilita ancora la sua esecuzione. Che probabilmente consisterà nell’affidamento ai servizi sociali. C’è chi poi, concordata la pena, non la espierà perché nonostante abbia fatto cadere un governo in cambio di tre milioni, come l’ex senatore Sergio De Gregorio, ha ottenuto la sospensione. Tutto lecito, tutto previsto dalle norme grazie al patteggiamento che una volta era destinato agli imputati per i cosiddetti reati bagatellari (pene inferiori ai due anni) e dopo la riforma del 2003 è diventato applicabile anche a reati gravi con un tetto di 5 anni. Pena a cui potrebbe aspirare Salvatore Buzzi, ex ras delle cooperative rosse, imputato nel processo Mafia capitale.

Scandalo Mose: milioni di tangenti e un patteggiamento a 2 anni e 10 mesi
Una delle eccezioni riguarda Giancarlo Galan, ex presidente del Veneto già ministro della Cultura e ormai decaduto deputato della Repubblica, che non è riuscito a ottenere di essere affidato ai servizi socialicausa i pasticci con la villa Rodella – e sta scontando ai domiciliari due anni e 10 mesi per aver ricevuto secondo la Procura di Venezia un vero e proprio stipendio di un milione di euro l’anno dalle aziende che si erano aggiudicate i lavori per il Mose, il sistema di dighe mobili destinato a proteggere la città lagunare dall’acqua alta. L’ex ministro è a casa e gode di due ore di permesso al giorno. Potrebbe tornare libero a metà novembre se come spiega l’avvocato Antonio Franchini “dovesse essere accolta l’istanza di liberazione anticipata”. Altrimenti ai primi di gennaio la pena sarà scontata. Per gli altri imputati, dopo il rinvio a giudizio, è in corso il processo. Tra loro anche l’ex sindaco Pd Giorgio Orsoni, il cui patteggiamento era stato respinto per la pena considerata appunto troppo bassa: quattro mesi per finanziamento illecito. Il dibattimento procede e in una delle ultime udienze sono stati sentiti gli investigatori della Guardia di finanza che hanno spiegato come, secondo le indagini, le fatture fossero pilotate in modo da finanziare l’avvocato prestato alla politica.

Expo e la cupola bipartisan
La notizia dello svelamento di una cupola bipartisan, pronta a spartirsi la grande torta di appalti per Expo 2015, aveva fatto gridare al ritorno in versione III millennio di Tangentopoli. Ma anche i personaggi principali di questo sistema sono andati a casa con pene che più o meno superano a stento i 3 anniPrimo Greganti, l’ex cassiere di Pci e Pds, aveva patteggiato 3 anni e ha offerto 10mila euro di risarcimento. Il compagno G come era già avvenuto ai tempi di Tangentopoli (condanna a 3 anni patteggiata per finanziamento illecito), non ha fatto i nomi di politici di cui chiacchierava al telefono mentre era intercettato. A oggi, come conferma al fattoquotidiano.it l’avvocato Roberto Macchia, non è stata data esecuzione della pena e non è stata fissata l’udienza da parte del Tribunale di Sorveglianza di Milano. Greganti è quindi un uomo libero in attesa, a due anni dal verdetto, di conoscere il suo destino.

Anche un’altra conoscenza della magistratura italiana l’ex parlamentare Dc e Forza Italia Gianstefano Frigerio ha potuto patteggiare: 3 anni e 4 mesi. Nessun risarcimento è stato offerto da parte del personaggio che spendeva tra gli altri anche il nome di Silvio Berlusconi con l’imprenditore veneto Enrico Maltauro. Quest’ultimo filmato dagli uomini della Guardia di Finanza mentre consegnava una mazzetta a Sergio Cattozzo, è in attesa di sapere se sarà affidato in prova ai servizi sociali come richiesto dalla sua difesa a fine del 2015. “Si tratta di tempi assolutamente ordinari – spiega l’avvocato Paolo Grasso – Entro il 2017 ci sarà l’udienza”.

Mafia Capitale, il caso Odevaine e il caso Buzzi
Il processo Mafia Capitale è in corso e alcuni degli imputati minori sono già usciti grazie ai riti alternativi. L’ex componente del Tavolo di Coordinamento sugli immigrati, Luca Odevaine, invece ha formalizzato la richiesta di patteggiamento a 2 anni e 8 mesi per la vicenda che riguarda i vertici della cooperativa la Cascina accusati, assieme ad Odevaine, di corruzione per l’aggiudicazione di un appalto per la gestione del Cara di Mineo. Con la richiesta di patteggiamento, che ha ottenuto il parere favorevole della Procura dopo alcuni interrogatori, l’ex capo di gabinetto del sindaco di Roma, Valter Veltroni, ha messo a disposizione su un libretto postale 250mila euro. Toccherà al giudice Flavia Costantini fissare l’udienza per ratificare il patteggiamento. Per questo episodio, il 7 gennaio scorso, hanno concordato pene dai sei mesi fino ai 2 anni e 8 mesi gli ex dirigenti quattro imputati. Odevaine resta imputato nel maxiprocesso per un episodio di corruzione che vede coinvolto anche Salvatore Buzzi, ras delle coop romane. Proprio per quest’ultimo il difensore Alessandro Diddi, come prevede la legge aveva presentato entro i 15 giorni dalla notifica del giudizio immediato, una istanza per patteggiare la pena: prima 3 anni e mezzo, poi tre anni e 9 mesi anche se il legale sostiene che la pena doveva essere 4 anni e mezzo. Dopo il parere negativo della Procura a inizio processo il difensore ha reiterato l’istanza e in camera di consiglio (probabilmente primavera 2017) il Tribunale potrebbe decidere a favore dell’imputato una pena a 5 anni, cioè il massimo. Naturalmente dovrà essere escludere l’aggravante mafiosa confermata da Riesame e Cassazione.

Compravendita senatori, De Gregorio libero e Berlusconi prescritto
Un altro caso di corruzione che suscitò clamore soprattutto per le conseguenze politiche ovvero la caduta del governo Prodi si è quasi concluso con un nulla di fatto. Vero è che 
Sergio De Gregorio ha patteggiato venti mesi, ma con la concessione della sospensione della pena l’ex senatore, eletto con l’Italia dei Valori dipiestrista e poi passato al centrodestra convinto dai tre milioni offerti dall’allora premier Silvio Berlusconi, non ha fatto un giorno di carcere per quella vicenda (per l’inchiesta dei finanziamenti a L’Avanti invece si era costituito dopo la perdita dell’immunità). Il processo per gli altri due imputati, Silvio Berlusconi e Valter Lavitola, corre inesorabilmente verso la prescrizione.

Coppi: “Meccanismo farraginoso, basterebbe riforma della Costituzione”
Il fattoquotidiano.it ha chiesto all’avvocato Franco Coppi e al magistrato Francesco Gianfrotta una riflessione sul tema. “C’è poco da argomentare – dice il professore – il patteggiamento è frutto di un accordo tra le parti previsto dalla legge sotto il controllo del giudice. Se il Tribunale impiega due anni per un affidamento in prova io mi arrendo purtroppo è così. Fa tutto parte del meccanismo incrostato, arrugginito, farraginoso e – continua il giurista – altalenante della giustizia. I tempi della giustizia sono tali da rendere normali questi casi”. Sulla questione del patteggiamento l’avvocato ha una proposta: “Basterebbe una riforma della Costituzione (l’articolo 111 nella parte in cui si dice che è sempre ammesso il ricorso in cassazione, ndr) sulle sentenze su cui c’è stato un accordo tra le parti che impedirebbe molti ricorsi. Si tratterebbe di una riformetta, basterebbe una virgola e scrivere fatte salve quelle su cui c’è stato accordo fra le parti”.

Gianfrotta: “Per mia esperienza personale le pene brevi non servono
Francesco Gianfrotta, già presidente dell’ufficio gip-gup di Torino ed ex direttore dell’ufficio detenuti del Dap per due anni e tre mesi tra il 1999 e il 2001, ragiona: “Secondo la mia personale esperienza le pene brevi non servono. In passato ho cercato di occuparmi degli effetti delle mie decisione – prosegue il magistrato in pensione dal 1 gennaio -. La pena è e deve essere un mezzo per un fine ovvero l’articolo 27 della Costituzione (che prevede che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, ndr), altrimenti è un puro costo. Ma con le pene brevi i condannati non ha tempo di ripensarci. Bisognerebbe analizzare le statistiche di recidiva nei reati contro la Pubblica amministrazione. Ma in generale il tasso di recidiva è più alto nei condannati a pene brevi ed è più basso nei condannati con pene alte”. Sull’idea di impedire ricorsi in Cassazione dopo i patteggiamenti il giudice aggiunge: “La non ricorribilità, la non impugnabilità potrebbe essere una scelta saggia. Magari se non proprio vietarlo il ricorso si potrebbe sottoporlo a un più potente filtro di ammissibilità”. E sui tempi lunghi per le fissazione delle udienze aggiunge: “Certo è una stortura, il meccanismo è questo. Non è normale che passi tutto questo tempo”. 

Interpellato Piercamillo Davigo, giudice cassazionista, ex pm di Mani Pulite e presidente dell’Anm, dice di non poter rispondere: “Non posso parlare di processi in corso” e introducendo il tema dei tempi lunghi per la fissazione delle udienze dei Tribunali di Sorveglianza sbotta: “Le sembra strano? Le cose in Italia vanno così”.