Nel suo libro Status quo l'ex consigliere di Palazzo Chigi racconta il fallimento del governo nel ridurre davvero la spesa pubblica e eliminare privilegi. Dalla cancellazione "per sospetta incostituzionalità" di una norma che avrebbe irrobustito i paletti agli stipendi dei manager pubblici fino ai compensi dei consiglieri regionali, che salgono nonostante il tetto. Le partecipate? "Nella riforma nessuno spunto pratico per ridurle". Risultato: poche risorse per le fasce più deboli, fiducia dei cittadini nello Stato a picco
Ce n’è anche per i giudici, che all’apice della carriera hanno uno stipendio medio di 180mila euro contro una media internazionale di 108mila. Quelli che compongono la Corte costituzionale, invece, dal maggio 2014 hanno una remunerazione di 360mila euro (prima erano 456mila): “più del doppio di quelli francesi, esattamente il doppio di quelli statunitensi e circa due terzi più di quelli britannici e canadesi”. Questo senza considerare gli “innumerevoli benefit, tra cui una macchina con autista per ogni giudice, un ampio appartamento a Roma nella foresteria, viaggi gratuiti su tutto il territorio nazionale, e molti altri”. Privilegi giustificati, nota Perotti, con un “florilegio di scuse” che comprende il “molto lavoro” (“ma la loro settimana lavorativa inizia il lunedì pomeriggio e finisce il giovedì”), la necessità di “assicurarne l’indipendenza” e di “attrarre l’eccellenza” (ma “qualsiasi giurista farebbe il giudice costituzionale gratuitamente, dato l’altissimo prestigio della carica”) e “il costo della vita più alto in Italia”, come sostenuto dall’ex presidente Annibale Marini. Infine i diplomatici: “sono probabilmente i meglio pagati al mondo” ma ricostruire con precisione le componenti della loro busta paga è una sfida. E il governo ha affidato la riforma del sistema alla stessa Farnesina, con il risultato che “ora ne sappiamo meno di prima”.