Capitoli

  1. Partiti, fino a 150mila euro per un seggio. Il tariffario della democrazia in vendita
  2. Il seggio più caro lo vende il PD: "150mila euro per candidarsi"
  3. Lega, un salvadanaio a forma di Porcellum. Per concorrere devi pagare 145mila euro
  4. Il contratto di Fi modello “Porta a porta”: 70mila per un posto in lista. Ma pochi versano
  5. I Cinque Stelle chiedono un "contributo obbligatorio" di 114mila (ma va allo Stato)
Palazzi & Potere

Il seggio più caro lo vende il PD: "150mila euro per candidarsi" - 2/5

Le chiamano “erogazioni liberali” ma di libero hanno ben poco: quei “contributi volontari” in realtà sono obbligati in forza di scritture private, atti notarili e contratti fatti sottoscrivere ai candidati prima di metterli in lista. Chi non si impegna a versare non viene candidato, chi non versa non sarà ricandidato. I partiti hanno anche fatto in modo che i versamenti (a loro stessi) siano esentasse. Ecco le quotazioni, partito per partito

Il benefattore n. 1 del Pd è l’onorevole Giuditta Pini. Nel 2013, con i suoi 28 anni, ha contributo allo svecchiamento dei deputati dem. L’anno dopo ha ricambiato la cortesia versando alle casse del Nazareno un assegno da 58mila euro, cifra che la proietta in cima alla lista dei contributi dem che, insieme, hanno versato quell’anno 7,5 milioni. Sempre di “erogazioni liberali” si tratta, secondo lo statuto e i tesorieri che si sono succeduti negli anni. Partiamo da qui perché nella speciale “boutique della democrazia” il Pd è il partito che propone il seggio al prezzo più caro: 150mila euro.

Come funziona? Il candidato deve sottoscrivere due obbligazioni. Una tra 30 e 50mila euro in base alla posizione nel “listino” da corrispondere anche a rate entro il termine della legislatura. I soldi andranno alle federazioni. Per un seggio sicuro, solitamente, il pagamento è anticipato. Poi ci sono 1.500 euro da versare alle casse del Nazareno ogni mese. In tutto, un seggio del Pd può costare 140-150mila euro. Per ripagare la sua elezione la giovane Pini, dunque, si è portata avanti: nel 2014 ha ricevuto 98.471 euro di competenze parlamentari e più della metà le ha “girate” al partito che gliel’ha permesso. Di tasca sua, per quello scranno, aveva sborsato 196 euro in “spese di propaganda”. “Questo è il punto”, dice Antonio Misiani, tesoriere dal 2009 al 2013, che non vuol sentir parlare di “commercio delle candidature”. Con il Porcellum, sostiene, sono venute meno le preferenze e le campagne elettorali “vengono fatte solo dal partito, non dai singoli candidati. Per questo chiediamo loro di contribuire, come fanno gli altri partiti. E’ un impegno politico verso la comunità di cui l’eletto fa parte”. Tuttavia tutti i partiti hanno ricevuto dallo Stato fior di rimborsi a refusione di quelle spese, in forma di cinque euro per ogni voto espresso dagli elettori. L’ultima volta, a fine 2015, si sono concessi altri 10 milioni aggirando anche, con la famosa legge Boccadutri (Pd), il visto di regolarità della Commissione di vigilanza.