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Italia-Ue, perché il clima è cambiato?

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Quali sarebbero, presumibilmente, i motivi per i quali il clima dei rapporti tra il governo e l’Ue sarebbe cambiato?

I motivi riguarderebbero forse fattori di politica interna, e quindi si tratterebbe genericamente di strumentalizzazioni utili alla gestione dei conflitti tra maggioranza di governo e opposizioni? E tuttavia, nell’ambito dei rapporti di politica interna, direi che sostanzialmente non sia cambiato nulla. Le novità, che occorre infatti registrare, sono legate alla vicenda di Quarto, alla discussione sull’introduzione della stepchild adoption e in fine all’adesione dei verdiniani al Pd. Maliziosamente, io però dico burlescamente, si potrebbe dire che sono tutte questioni rubricabili con il termine “affiliazioni”, che è poi lo stesso usato da Verdini a proposito di quella che dovrebbe essere l’alleanza con il Pd alle prossime elezioni: “non saremo una componente del Pd, ma qualcosa che si affilia”. Quindi, sostanzialmente, sul versante interno nulla è cambiato.

E allora, semplicemente, si tratterebbe di difficoltà inerenti alla gestione di rapporti propri del governo, in particolare si direbbe con la Commissione Ue e quindi i motivi del clima cambiato sarebbero reali? E se tali, come credo, cos’è dunque cambiato alla fine del vecchio 2015 e all’inizio di questo nuovo 2016? I motivi, a indicazione unanime degli osservatori, riguarderebbero questioni in materia di migrazione, flessibilità e banche.

Per quanto concerne il rapporto immigrazione, la grande questione sul tappeto è senza dubbio il mantenimento del principio basilare, assunto nel Trattato di Schengen, della libera circolazione all’interno dell’intero territorio Ue. E tuttavia, il nodo, pur sempre, da sciogliere è viceversa quello legato all’accoglienza dei migranti: profughi, rifugiati e non. Il controllo alle frontiere esterne o interne – ai territori dei singoli stati nazionali – dell’Ue, è in effetti una questione di regolazione dei flussi migratori all’interno dell’intera area e pertanto la violazione della regola di Schengen è da considerarsi solo apparente. In realtà, si tratta di stipulare un nuovo accordo capace di gestire al meglio una politica europea dei flussi migratori. Per l’Ue, quindi, si tratta di un’occasione al meglio per la definizione di nuovi e maggiori accordi d’integrazione politica. Se ne discuterà a febbraio.

La flessibilità è un’altra questione che starebbe particolarmente a cuore all’Italia. Se ne dovrebbe riparlare a marzo. Ma, quali sarebbero le condizioni e soprattutto quale sarebbe complessivamente l’ammontare delle clausole chieste dal governo? Su questo punto, hanno preso il via le “polemiche inutili”, così definite lunedì dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, tra il governo e la Commissione di Bruxelles. Nella stessa giornata, il commissario Ue agli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici, ha precisato: “L’Italia chiede per il 2016 uno 0,3% di flessibilità sugli investimenti, uno 0,5% a titolo delle riforme strutturali e uno 0,2% per la gestione dei migranti”. Totale: 1%, pari circa a 10-11 miliardi di euro, stimati. Tutto sommato, verrebbe da dire, davvero poca cosa.

E dunque, serve a qualcosa dire, da una parte, che si tratta di polemiche inutili o ancor più che l’Italia adesso fa sul serio, quasi che, si presume, finora il governo o i governi precedenti all’attuale abbiano viceversa scherzato? Oppure, dall’altra parte, che finora siano mancati gli interlocutori, almeno tali da affrontare e tentare di risolvere le questioni inerenti ai diversi dossier?

Alla fine del 2015, nel nostro Paese, è emersa, molto più di tutte, una più rilevante questione, che è quella relativa alla gestione passata e più ancora futura delle banche nazionali. A parte i bilanci delle quattro banche assurte a fine anno ai disonori delle cronache (in primis Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara), emerge sempre più in queste ore, la vicenda dei crediti deteriorati delle banche. Dopo l’approvazione, a fine dicembre 2015, della normativa in termini di bail in, in vigore dal 1° gennaio 2016, esattamente la stessa data in cui si realizza il passaggio del controllo di vigilanza e stabilità degli istituti bancari nazionali dalla Banca d’Italia alla Bce. Il crollo della Borsa (-2,65%) e dei titoli bancari (da inizio anno l’indice Ftse ItaliaBanche ha perso circa il 16%) di questo stesso lunedì, testimonia ulteriormente lo stato della crisi che ne potrebbe derivare sul piano dei rapporti tra il governo e l’Ue.

Il motivo o i motivi, ancora da accertare e definire in sede Ue, sarebbero piuttosto i crediti deteriorati delle banche nazionali, per un ammontare complessivo stimato, solo per ipotesi giornalistiche, di oltre 350 miliardi di euro di cui 45 circa riconducibili al Monte dei Paschi di Siena.

Angelo Giubileo per @SpazioEconomia