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Referendum Grecia: il diritto di voto piega il diritto di veto

Tra i tanti che hanno deciso di festeggiare la vittoria di Tsipras non sono mancati esponenti della destra europea, tra loro i Salvini e alcuni forzisti. Il loro entusiasmo è stato amplificato da quei Tg che non aspettavano altro di poter titolare: “Estrema destra e estrema sinistra unite nella lotta contro l’euro”. Le cose stanno davvero così?

Tanto per cominciare, nel Parlamento europeo, Syriza siede tra i banchi della sinistra europea, i più distanti da quelli della destra, degli eurosfascisti, degli euroscettici.

La formazione culturale di Tsipras e dei suoi, e lo stesso discorso vale per il gruppo dirigente di Podemos, ha profonde radici nella storia della sinistra filosofica e politica. Xenofobia, razzismo, esclusione sociale non fanno parte del loro bagaglio etico e pratico. I muri ungheresi e le ruspe contro i campi rom troverebbero adeguata risposta da parte dei militanti di Syriza e di Podemos, i loro nonni combattevano contro camice brune e nere.

Tsipras non ha vinto il referendum proponendo il No all’Europa o annunciando un referendum sull’euro, bensì chiedendo un No all’austerità diventata cappio, ad una politica economica che ha scelto di ignorare le differenze sociali e le diseguaglianze. La destra che esulta dimentica di aver governato per un ventennio, di aver accettato le politiche iperliberiste, di aver sostenuto l’Europa della Merkel, di aver dato pieno sostegno proprio alle scelte oggi bocciate dalla grande maggioranza del popolo greco.

Sta ora al centrosinistra europeo, se ancora esiste, battere un colpo, facilitare i negoziati, impedire che si possa realizzare una qualsiasi saldatura tra le richieste della Grecia e chi, per altri motivi, vorrebbe tornare ad un Europa delle “piccole patrie” chiuse in se stesse, divise ed aggressive, pronte alla costruzione di muri sempre più alti. I segnali giunti sin qui non sembrano incoraggianti.

Forse chi tenta di equiparare “destre e sinistre estreme”, sogna grandi coalizioni per l’eternità, magari dominate da una sorta di pensiero unico omologato ed omologante. Per costoro il grande peccato commesso da Tsipras è quello di aver chiesto un voto sull’austerità e cioè sulla questione sociale, sul modello economico e sulla possibilità di modificarlo, come per altro sostengono insospettabili economisti  liberal, da Stiglitz a Krugmann.

I greci hanno dimostrato che questa discussione si può riaprire e che la voce dei cittadini non può essere considerata un inutile schiamazzo che disturba la troika di turno. Questa Europa ha dimostrato di tollerare meglio i muri di Orban e gli imbrogli dei precedenti governi greci, rispetto alla richiesta di ricontrattare i parametri e di ristrutturare il debito.

I parametri dei diritti civili e politici si possono infrangere e sfregiare, vedi le politiche della accoglienza e della immigrazione, quelli economici invece rappresentano le Tavole della legge, le nuove divinità pagane. Questa moderna forma di idolatria è una delle cause del malessere che sta attraversando tanta parte dell’Europa. Chi, come noi, crede nella necessità di sottoporre a verifica e critica tutto e tutti, a partire da chi riveste cariche pubbliche, ritiene essenziale che lo stesso atteggiamento sia riservato a Tsipras, al suo governo, alle prossime mosse che compiranno, ai possibili errori. Che piaccia o meno, tuttavia, il popolo greco con un voto che, ancora una volta, ha spiazzato le istituzioni, i media e i sondaggisti, ha rivendicato la propria dignità e ha restituito un senso ed un peso al libero esercizio del diritto di voto, con buona pace di chi ha sempre confidato solo e soltanto nel “diritto di veto”.