Media & Regime

“La religione cattolica occupa il 95% dello spazio in tv. Anche grazie a Bergoglio”

Nel IV Rapporto sulle confessioni religiose e tv, pubblicato dal trimestrale Critica liberale, i dati relativi agli spazi concessi dalle reti Rai, Mediaset e La7. Dalle fiction ai tg, chi prevale nettamente è la Chiesa di Roma. Il direttore della rivista: "Ci auguriamo arrivi presto un intervento del presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Roberto Fico"

In Italia la par condicio vale per la politica, ma non per le confessioni religiose. Perché quella cattolica ha – in pratica – il monopolio nei palinsesti delle tv generaliste. Per l’esattezza “rappresenta oltre il 95% dell’attenzione dedicata a tutte le confessioni”. E questa “se non è prova di mancanza di pluralismo, certamente è un pesante indizio di gravi carenze sull’accesso al media televisivi“. Una sintesi pubblicata nell’introduzione del IV rapporto sulle confessioni religiose e tv, pubblicato sulla rivista Critica liberale grazie all’8 per mille che il giornale ha ricevuto dalla Chiesa valdese.

Trasmissioni, fiction e documentari – Per realizzare la ricerca Geca Italia, la stessa società di ricerca che utilizza l’Agcom, ha monitorato tg, trasmissioni di approfondimento, programmi, fiction, film e documentari a carattere religioso sui sette principali canali televisivi, pubblici e privati (reti Rai, Mediaset e La7) dal primo settembre 2013 al 31 agosto 2014. Il risultato: in tv si susseguono eventi religiosi cattolici, dalle visite del Papa all’estero passando per le messe domenicali trasmesse in tv, la via Crucis pasquale e le cerimonie di canonizzazione. Quella sulla beatificazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, concelebrata dal papa emerito Joseph Ratzinger e da Jorge Mario Bergoglio, è stata “l’evento di punta” del 2014 intorno al quale si sono sviluppati approfondimenti e dibattiti. Ma ci sono anche le trasmissioni, come A sua Immagine su Rai1 o Le frontiere dello Spirito su Canale 5. E anche le fiction con soggetti confessionali, da quelle dedicate ai sacerdoti (Don Matteo, Don Milani, Don Zeno) fino a quelle sui papi (Il Papa buono, Karol – Un Papa rimasto uomo, Karol – Un uomo diventato Papa). Poi l’elenco dei documentari (che includono ad esempio I santi – Lo splendore del divino quotidiano e Don Giussani – Tre interviste) e quello dei film (tra cui anche Sister Act, Habemus Papam, Quo vadis? e Ben Hur).

I contenuti nella fascia pomeridiana – Una particolare attenzione va dedicata al pubblico nella fascia pomeridiana al quale, scrive la ricercatrice Valeria Ferro nell’introduzione alla ricerca, “vengono regalati dalle ammiraglie di Rai e Mediaset programmi di ‘vita vera’, la suora beata, Sandra Milo miracolata Paolo Brosio folgorato, Claudia Koll pentita e convertita, il santo bambino, Massimo Giletti assiduo frequentatore di Lourdes e i genitori della giovane morta in odore di santità”.

Enzo Marzo (direttore di Critica liberale): “Ai non cattolici spazi da ‘prefisso telefonico’” – “Non ci aspettavamo questi risultati – spiega Enzo Marzo, direttore di Critica liberale – e anche la Chiesa cattolica non ha fatto osservazioni perché si tratta di dati elaborati dalla stessa società che usa Agcom. Quindi, al di sopra di ogni sospetto di manipolazione“. Ecco alcuni numeri. “Guardiamo alle fiction – spiega a ilfattoquotidiano.it – siamo passati da 57 nel 2010, a 163 nel 2011, poi 231 nel 2012 e 311 nell’anno tra 2013 e 2014. Di queste, il 91,9% è sulla confessione cattolica, mentre il 6,8% su quella giudaico cristiana“. A tutti gli altri, dai musulmani ai buddisti, rimane soltanto l’1,3%. Tradotto in ore, “su Rai1 si è passati ad esempio dalle 9,37 alle 211 nel 2013 e a 190 nell’anno successivo”. Non va meglio ai documentari, dove il 96,5% riguarda il cattolicesimo. E anche i film, prosegue Marzo, “presentano un problema di politica generale, visto 35 su 37 riguardano i cattolici (28) o sono d’ispirazione giudaico-cristiana. All’Islam? Zero”.

Nei telegiornali, poi, le confessioni diversa da quella cattolica si assestano su percentuali da “prefisso telefonico”, visto che la religione della Chiesa di Roma supera il 99%. Interessante anche il paragone tra Ratzinger e Bergoglio: riguardo ai tempi di notizia (ovvero allo spazio riservato alle news e non alle dichiarazioni di un interlocutore), “a Benedetto XVI nel 2009 il Tg1 aveva dedicato 51 minuti. A Papa Francesco nel 2013 3 ore e 18 minuti“. Di gran lunga più netta la divergenza su RaiNews dove, prendendo a riferimento gli stessi anni, le news sul papa emerito hanno “riempito” 2 ore e 14 minuti. 27 ore, invece, nel caso del pontefice argentino.

Benedetto XVI e papa Francesco: le “differenze” – “Ratzinger ha avuto poco spazio – osserva il direttore di Critica liberale -. Dargliene avrebbe significato informare anche sullo scandalo Ior, su Vatileaks, il maggiordomo Paolo Gabriele e i preti pedofili. Nel caso di Benedetto XVI abbiamo assistito a un conformismo da difetto, in cui non si parlava di Vaticano per evitare di affrontare casi scottanti. Con Bergoglio invece – puntualizza Marzo – siamo immersi nel conformismo da eccesso, dove si parla delle babbucce del papa, peraltro molto abile nella comunicazione“. Anche i talk show non vanno in controtendenza sul “monopolio” della Chiesa di Roma: “Prendiamo ad esempio Matrix – osserva il direttore di Critica liberale – I 12 religiosi che sono stati ospitati nel corso delle trasmissioni, erano tutti sacerdoti. A Porta a Porta, su 30 ospiti legati a una confessione solo 1 non era cattolico. E tra gli invitati sono andati a ripescare anche don Alberto Gallorini, il prete che battezzò il ministro Maria Elena Boschi“. E se questi programmi facessero davvero informazione sulla religione cattolica? “Non è così -prosegue – Tanti sono film, documentari. In sostanza, propaganda. Nessun ragionamento sulla morale cristiana o la Bibbia. Fanno molto meglio, al contrario, le trasmissioni sportive, dove si dibatte e ci si confronta”. I non cattolici, quindi, “sono trattati malissimo, spesso relegati a notte fonda”.

“Aspettiamo la risposta di Fico” – Sulla base dei dati rilevati, dice Marzo, “abbiamo chiesto le dimissioni del Garante delle comunicazioni attraverso un esposto dell’Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) che ci ha risposto in maniera indecente”. Cioè? “Che non possono essere misurate le ore del pluralismo sociale. Cosa che è vera, ma in questo caso solo in linea teorica visto che i dati presentano sproporzioni davvero enormi. Tanto da fare diventare la quantità qualità“. Il contenuto della ricerca è stato esposto ad aprile anche al presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Roberto Fico (M5s). “Ci ha ascoltati con attenzione – conclude Marzo – e ha chiesto tempo. Stiamo aspettando notizie su come intenda procedere”. Per “garantire il pluralismo”, come è scritto nel contratto di servizio firmato da RaiMinistero dello Sviluppo Economico.