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Ferrari, Marchionne studia una holding olandese. Con più voti e soldi per Agnelli

L'amministratore delegato del gruppo, mentre elogia il Jobs Act che "crea le condizioni per investire in Italia", ammette che "può essere" che la sede legale della casa di Maranello venga spostata ad Amsterdam "per la questione del voto multiplo". Cioè per permettere agli Agnelli di blindare il controllo senza investire. Poi anticipa: "La domanda di titoli è altissima, potremmo anche vendere più del 10%"

La Ferrari studia il trasloco in Olanda. Come la casa madre Fiat-Chrysler. E in Borsa a Wall Street ne finirà probabilmente più del 10% ipotizzato finora. La conferma è arrivata dalla viva voce del gran capo della casa automobilistica, Sergio Marchionne, che parlando al Salone dell’auto di Ginevra ha ammesso: “La sede legale in Olanda? Può essere”. Non solo: piazzare sul mercato il 10% “è poco, la domanda è molto alta e stiamo valutando se venderne di più. Potremmo anche vendere tutto, ma è molto improbabile”. Non bisogna, sostiene Marchionne, “confondere l’azienda che poi viene quotata e le azioni che vengono scambiate sul mercato con la sede dell’azienda”, che “è e resterà italiana, continuerà a fare tutte le sue vetture in Italia, a fare profitti e a pagare le tasse in Italia”. Nel dicembre scorso l’agenzia Bloomberg aveva a dire il vero diffuso l’indiscrezione che anche il Cavallino rampante, come Fca, avrebbe trasferito la sede fiscale a Londra. Voci poi smentite da Fca nel giro di 48 ore. E questa ulteriore rassicurazione farà piacere al presidente del Consiglio Matteo Renzi, con il quale dall’estate scorsa non si è mai interrotto lo scambio di cortesie: Marchionne da Ginevra ha espresso ancora una volta apprezzamento per “la mancanza di paura” (“Non si preoccupi degli insulti, ne ho presi parecchi anch’io”, il consiglio) e ha rinnovato il giudizio positivo sul Jobs Act, “importantissimo” perché “ha creato le condizioni per gli investimenti dall’estero. Io parlo con manager internazionali e senza Jobs Act non sarebbe venuto nessuno”.

Per qualcuno che viene, però, qualcun altro va. Come Ferrari, appunto. Lo schema che si prospetta, infatti, è che una volta separata dal gruppo in vista della quotazione di una fetta di capitale a Wall Street la società operativa farà capo a una holding di diritto olandese. È un’opzione “perché (l’Olanda, ndr) l’abbiamo già scelta in passato e per la questione del voto multiplo“, ha spiegato il manager che ormai è anche secondo azionista di Fca, visto che nei giorni scorsi grazie all’esercizio di un pacchetto di incentivi in azioni la sua quota nel capitale del gruppo è arrivata allo 0,8 per cento. “In Olanda la legislazione è più gestibile, anche se l’Italia sta facendo passi avanti”. La legislazione a cui Marchionne fa riferimento è quella sul voto maggiorato per i soci di lungo periodo, grazie alla quale Exor, la holding della famiglia Agnelli Elkann, controlla la Fca Nv basata ad Amsterdam con il 46% dei diritti di voto pur detenendo solo il 30 per cento del capitale. Il meccanismo, però, è stato introdotto anche in Italia con il decreto Competitività della scorsa estate, per di più con una scorciatoia che ha agevolato gli azionisti di controllo e suscitato una vasta polemica da parte di economisti, giuristi e investitori specializzati.

E un esito molto simile a quello che si è verificato in Fca, stando ai calcoli dell’agenzia Bloomberg, è destinato ad andare in scena anche nel caso di Ferrari: in seguito alla quotazione prevista entro fine anno, scrive l’agenzia partendo dal presupposto che a Wall Street finisca “solo” il 10%, il presidente del gruppo automobilistico John Elkann e gli altri discendenti del fondatore si ritroveranno ad avere un peso diretto in assemblea pari al 36% dei voti senza sborsare un euro. Anzi, lo faranno dopo aver portato a casa il trasferimento in Fiat dei 2,25 miliardi attualmente nelle casse di Ferrari. Oltre oltre ai guadagni pro quota in arrivo dalla quotazione di Maranello. Dalla vendita del 10% erano previsti proventi per circa 800 milioni di euro, destinati a lievitare se Marchionne e il cda decideranno di portare a Wall Street una fetta più corposa. Il meccanismo per cui gli Agnelli potranno mantenere salda la presa sulla Rossa è presto detto: dopo il collocamento, i titoli non venduti sul mercato saranno distribuiti, ovviamente pro quota, agli azionisti della attuale capogruppo auto. Exor ne riceverà in quella sede circa il 24 per cento. Ma, fa i conti Bloomberg, ipotizzando che nessun altro faccia richiesta di accedere al “premio fedeltà” sotto forma di azioni a voto multiplo, la holding degli Agnelli si troverà in tasca appunto il 36 per cento. Che sale al 51% considerando anche le azioni di Piero Ferrari, discendente di Enzo che possiede tuttora il 10% di Maranello.