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Eurocrisi, le incognite tedesche sulle promesse di Draghi ai mercati

Lunedì il presidente della Bce ha confermato la possibilità di acquisti di titoli di Stato dei Paesi in crisi. Ma il governatore della Banca centrale tedesca è contrario e potrebbe chiamarsi fuori. In più la Corte di giustizia europea deve pronunciarsi sul ricorso contro un programma simile lanciato nel 2012

L’effetto delle parole di Mario Draghi continua a spingere i mercati finanziari europei. Che anche martedì mattina hanno aperto in rialzo, con Piazza Affari maglia rosa a +0,8 per cento. Ma sulle promesse del presidente della Banca centrale europea, che lunedì intervenendo al Parlamento europeo ha confermato la possibilità di “acquisti di titoli di Stato” da parte di Francoforte, pesa più di una incognita. A partire dai ricorsi giudiziari pendenti in Germania e dall’opposizione del “falco” tedesco Jens Weidmann, il numero uno della Bundesbank. Che naturalmente siede nel consiglio direttivo della Bce ed è notoriamente contrario a tutte le “misure non convenzionali” mirate a rilanciare la crescita e far risalire l’inflazione. La sua posizione, in breve, è questa: comprare titoli (non solo quelli di Stato, ma anche i pacchetti di prestiti privati in pancia alle banche) equivale a creare moneta e quindi può dare origine a pericolose “bolle” finanziarie. In più, carica i rischi dei Paesi “problematici” (parole di Weidmann) sulle spalle dei contribuenti di quelli più virtuosi. E può indurre i politici ad allentare l’impegno sul fronte delle famose “riforme strutturali“. Insomma: sapendo che la Bce si sta dando da fare, i governanti del Sud Europa sarebbero tentati di diminuire i già insufficienti sforzi per modificare e modernizzare le economie fin dalle fondamenta. Una posizione condivisa dal ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble.

Le banche tedesche continuano ad alleggerire la propria esposizione al rischio di un default dell’Italia

Weidmann, dunque, anche nel caso in cui la maggioranza dei governatori che siedono a Francoforte decida per il sì a quello che in gergo è chiamato “quantitative easing“, cioè appunto gli acquisti di titoli dei Paesi in crisi (a partire da Italia, Spagna, Portogallo e Grecia), potrebbe chiamarsene fuori. Sul fronte giudiziario, poi, i magistrati del Paese guidato dalla Cancelliera Angela Merkel hanno rimesso alla Corte di giustizia europea il giudizio di legittimità su un altro programma di acquisto di titoli di Stato, quello lanciato nel 2012, quando l’Eurozona era nel pieno della tempesta finanziaria e Draghi assicurò che la Bce avrebbe fatto “tutto il necessario per salvare l’euro”. La Corte del Lussemburgo dovrebbe esprimersi entro l’estate prossima. Vero è che i precedenti tentativi di opporsi in tribunale alle decisioni dell’Eurotower sono andati a vuoto (la stessa Corte costituzionale tedesca ha per esempio respinto un ricorso contro il Fondo salva Stati o “Meccanismo europeo di stabilità”). Ma si tratta comunque di una spada di Damocle che, incombe sulla fattibilità di future operazioni di questo tipo.

Draghi: “La Bce non ha il potere di obbligare gli Stati membri a restare nell’euro”

In questo quadro le banche tedesche, come rivelato da Repubblica, continuano ad alleggerire la propria esposizione al rischio che l’Italia vada in default: negli ultimi mesi il volume di titoli italiani che hanno in pancia è sceso al livello più basso dall’annus horribilis 2012. Un chiaro segnale di sfiducia nelle prospettive del più indebitato tra i Paesi del Sud Europa ma anche, più in generale, nella tenuta dell’euro. Draghi, lunedì, ha parlato anche di questo. A un eurodeputato del Movimento 5 Stelle che gli chiedeva se la Banca centrale europea ha intenzione di rendere possibile l’uscita dall’euro, oggi non prevista dai Trattati, ha risposto che la moneta unica “è irreversibile” e la Bce “farà tutto quello che può all’interno del suo mandato” per preservarla, ma “non ha potere legislativo per obbligare i Paesi membri a restare” nell’unione monetaria.