Economia

Riforme e recessione, Renzi: “Non è l’Europa che ci deve dire cosa fare”

Il premier rialza la testa dopo la prima reazione di apprezzamento del monito di Draghi: “Io e il governo siamo usciti più forti dal test di maggio e non abbiamo bisogno di spinte da Bruxelles: minimamente". Concetto rafforzato in un colloquio con il Financial Times al quale anticipa la nuova stima del governo sul deficit/Pil di fine anno: 2,9% contro il precedente 2,6

“Oggi non è l’Europa che deve dire a noi cosa fare. Sulle riforme decido io, non la Troika, non la Bce, non la Commissione europea”. A distanza di tre giorni si fa sempre meno accondiscendente la reazione di Matteo Renzi alla strigliata della Bce di Mario Draghi che giovedì, dopo aver indicato nell’incertezza e “la mancanza di riforme strutturali che non sono condotte con sufficiente impegno” la causa ultima della recessione italiana, aveva auspicato una cessione di sovranità all’Europa per quanto riguarda le riforme strutturali da parte dei Paesi membri.  A caldo il presidente del consiglio aveva fatto sapere di aver molto apprezzato le parole del governatore della Bce. Concetto approfondito poche ore dopo davanti alle telecamere di La7. “Sono assolutamente d’accordo con Draghi – aveva detto intervistato a In Onda – se è un affondo, affondo anche io. Il presidente della Bce ha detto una cosa sacrosanta, noi dobbiamo rimettere in ordine l’Italia per farla diventare più competitiva. E le parole di Draghi sono la migliore risposta ai critici del Senato, che è una delle riforme che stiamo facendo”. L’unico colpo di coda era stato sul tema scottante della sovranità nazionale: “Sulla questione della cessione di sovranità Draghi ha fatto un ragionamento più ampio sull’Europa. Non ha detto che l’Italia deve andare verso una cessione di sovranità sulle riforme ma ha parlato di Eurozona. L’Italia non è finita, con buona pace dei gufi e degli sciacalli”.

Ed è da qui che Renzi è ripartito per rialzare la testa dalle colonne della Stampa che l’ha intervistato domenica 10 agosto. “La frase di Draghi è: se non fa le riforme, l’Italia non è attrattiva per investimenti esteri. Bene: questa è la linea anche mia e di Padoan. Siamo d’accordo, nessun problema. Ma se qualcuno vuole interpretarla e far intendere che l’Europa deve intervenire e dire all’Italia quel che deve fare, allora no, non ci siamo. Oggi non è l’Europa che deve dire a noi cosa fare”, ha detto al quotidiano della FiatIl Pd ha vinto le elezioni, “io e il governo siamo usciti più forti dal test di maggio e non abbiamo bisogno di spinte da Bruxelles: minimamente”, ha aggiunto rafforzando il concetto. Per poi replicare indirettamente anche all’interpretazione allargata della cessione di sovranità: “Sono gli Stati a dover indicare alla Commissione via e ricette per venir fuori dalle secche”.

Un concetto che Renzi ha ribadito e rafforzato in un colloquio con il Financial Times. “Sulle riforme decido io, non la Troika, non la Bce, non la Commissione Europea”, ha dichiarato al quotidiano della City, assicurando che, nonostante il quadro economico complicato dalla recessione ancora in atto, il 2014 si chiuderà con il rapporto deficit/Pil “al 2,9%“. Un dato, cioè, più alto di quanto il governo aveva stimato nel Documento di economia e finanza (la previsione era 2,6%) benché sotto il paletto Ue del 3%, che l’ex sindaco di Firenze cerca di minimizzare bollandola come “una regola vecchia” e riducendo tutto a “una questione di credibilità e reputazione”.

Largo, quindi, all’ottimismo: “Porteremo l’Italia fuori dalla crisi: l’Italia ha un grande futuro, le finanze italiane sono sotto controllo e continueremo a ridurre le tasse. Faremo cose rivoluzionarie”. Eppure poche ore prima era stato lui stesso a indicare alla Stampa che “devo esser sincero e dirla tutta: la drammatizzazione del Pil è qualcosa che rispetto ma non condivido. Infatti non è che l’Italia sia rientrata in recessione: non ne è mai uscita”. Quindi aveva fatto suo il fattore tempo rivendicato da Padoan, ma confutato dallo stesso Draghi per il quale “molti pensano che ci vuole molto tempo per registrare gli effetti delle riforme strutturali. Non è così”. Passaggio ignorato da Renzi che alla Stampa ha detto: “Noi stiamo facendo cose importanti, che daranno frutti nel tempo: la riforma della Pubblica amministrazione curata da Marianna Madia, assieme alla semplificazione fiscale, saranno una rivoluzione; e l’intervento di Poletti sul lavoro ha creato 108mila nuovi occupati, dei quali – chissà perché – nessuno parla”. Non lo ha certo aiutato la base di partenza, con le statistiche che per il 2013 parlano dell’insoddisfazione del 18,7% degli italiani – cioè quasi uno ogni cinque – per la situazione economica del Paese, come emerge dall’indagine dell’Istat sugli aspetti della vita quotidiana fresca di aggiornamento. Dalle serie storiche, pubblicate nei giorni scorsi, infatti, la percentuale riferita al 2013 è la più alta da venti anni, dal 1993 (primo anno riportato).

Dei tagli alla spesa, invece, l’ex rottamatore si è occupato direttamente dal palco del raduno Scout di San Rossore. “Una parola fumosa come spending review non significa qualcosa di astratto”. Renzi ha quindi fatto l’esempio del risparmio che ci sarà con “l’efficientamento energetico e le nuove tecnologie” rispetto ad esempio ai 5 miliardi di euro che lo Stato paga per le bollette. E ha promesso che parte del risparmio sarà investito nella scuola. Più in generale, “le cose da fare sono molto semplici, non c’è da fare cose difficili. E forse proprio perché sono semplici sono difficili da fare. Quello che è più difficile del previsto sono le incrostazioni, le resistenze”, come ha dichiarato al giornale scout Camminiamo insieme – Credo che sia stato importante fare la riforma. La cosa positiva del Senato è che finalmente i politici cambiano sé stessi. Questo vuol dire che non c’è più potere di rendita per nessuno. Bisogna cambiare tutti. Se vogliamo fare bene, bisogna cambiare tutti. Da questo punto di vista è più semplice e più difficile del previsto”. Concetto che si fa più complesso se confrontato con la dichiarazione alla Stampa secondo cui “in Italia non c’è una classe dirigente che resiste al cambiamento, c’è semplicemente una classe dirigente che non esiste”.