
Secondo i giudici del Tribunale di Milano Loredana Canò, assieme a Marco Chiesa, all’epoca consulente finanziario e all’avvocato e amministratore di sostegno Daniele Pizzi, riuscì a mettere in atto una "integrale sostituzione della rete familiare e sociale" "assimilabile nelle sembianze ad un una vera e propria seconda 'famiglia'"
“Un controllo assoluto”. Era quello che, secondo i giudici di Milano, esercitava Loredana Canò, 59 anni, condannata a 6 anni e 4 mesi per circonvenzione di incapace e peculato, nel filone principale del processo sulla gestione dell’eredità milionaria lasciata a a Patrizia Reggiani dalla madre Silvana Barbieri. Canò iniziò a condividere le “condizioni di agiatezza” di Reggiani, libera dopo aver scontato la pena per l’omicidio del marito Maurizio Gucci, quando uscì dal carcere, andando a vivere con lei e poi assunse “via via”, dopo la morte della madre, la qualità di suo “alter ego”. Da amica fidata ed ex compagna di cella a colei che, come assistente personale, era riuscita a prendere il “controllo assoluto” del patrimonio e delle “proprietà immobiliari” della donna.
Canò, assieme a Marco Chiesa, all’epoca consulente finanziario di Barbieri e condannato a cinque anni e 8 mesi, e all’avvocato e amministratore di sostegno Daniele Pizzi che aveva già patteggiato 2 anni, riuscì a mettere in atto una “integrale sostituzione della rete familiare e sociale” di Reggiani, “con una seconda rete, assimilabile nelle sembianze ad un una vera e propria seconda ‘famiglia’”.
L’ex amica, a causa “soprattutto dalla patologia psichica che l’affliggeva”, non era “assolutamente in grado di porre in essere con sufficiente coscienza alcun atto di gestione patrimoniale”. Il processo era scaturito dalle denunce delle figlie di Reggiani, Alessandra e Allegra. Per la Procura, infatti, Canò aveva convinto Reggiani “a fare la guerra alle figlie“, installandosi a casa sua, villa Andreani, gestendo tutti i suoi rapporti con l’esterno e inducendola a far subentrare come suo amministratore di sostegno l’avvocato Pizzi.
Gli altri due imputati, i commercialisti Mario Wiel Marin e Marco Moroni, difesi dagli avvocati Giuseppe Fornari e Marisa Guassardo, sono invece stati assolti, con la sentenza dello scorso luglio, dall’accusa di corruzione “perché il fatto non sussiste”. Secondo quanto stabilito dal Tribunale, Canò e Chiesa dovranno anche versare 50mila euro in solido come provvisionali di risarcimento alle figlie di Reggiani, mentre solo Canò ulteriori 75mila euro di provvisionale a Lady Gucci. Tra le parti civili che hanno ottenuto risarcimenti anche due società, una delle quali assistita dall’avvocato Enrico Giarda.
Si è trattato, aveva spiegato l’aggiunta Siciliano, di “una vicenda che nel giro di pochi anni è riuscita ad assumere fattezze predatorie, con un comportamento che individua una preda debole e via via assume sempre più i connotati della mancanza di limiti e di quel minimo di ritrosia che in fondo la persona anziana e fragile avrebbe potuto anche umanamente far percepire”. I giudici, nelle oltre 80 pagine di motivazioni, nelle quali si ripercorrono le testimonianze e tutte le indagini, parlano della “particolare evidenza del disegno criminoso che ha ispirato e sorretto la condotta” dell’ex amica, “rappresentato dall’approfittare del controllo esercitato su Patrizia Reggiani per ricavarne un illecito vantaggio patrimoniale”. Ed evidenziano la “gravità del danno recato al patrimonio della persona offesa” e la “assenza di scrupoli dimostrata nell’agire in danno di una persona incapace, simulando un’attenzione nei suoi confronti del tutto disinteressata”.