
In un post su Truth il presidente rivendica il merito di aver chiuso l’intesa in tempi rapidi perché preoccupato per la situazione che si stava creando nel Paese asiatico. Ma sostiene che questa sua "buona volontà" non è stata ripagata. Per ora non vengono annunciate contromisure
Dopo le 24 ore al cardiopalma di ieri, con lo stop ai dazi decretato dalla Us Court of International Trade e la sospensione della decisione da parte della Corte d’appello, Donald Trump rilancia. Accusando Pechino di aver “totalmente violato” l’accordo raggiunto due settimane fa in Svizzera grazie al quale i dazi reciproci sono stati ridotti. In un post su Truth il presidente degli Stati Uniti rivendica il merito di aver chiuso l’intesa in tempi rapidi perché preoccupato per la situazione che si stava creando nel Paese asiatico ma sostiene che questa sua “buona volontà” non è stata ripagata. Per ora non vengono annunciate contromisure.
“Due settimane fa la Cina era in grave pericolo economico! I dazi doganali molto alti che avevo imposto avevano reso praticamente impossibile per la Cina commerciare con il mercato statunitense, che è di gran lunga il numero uno al mondo”, ha premesso Trump, sottolineando che quelle misure sono state “devastanti” per Pechino dato che “molte fabbriche hanno chiuso e ci sono stati, per usare un eufemismo, ‘disordini‘”. Un quadro che “non mi è piaciuto: per loro, non per noi”. Quindi “ho concluso un accordo rapido con la Cina per salvarli da quella che pensavo sarebbe stata una situazione molto brutta e che non volevo accadesse. Grazie a questo accordo, tutto si è stabilizzato rapidamente e la Cina è tornata alla normalità. Tutti erano contenti! Questa è la buona notizia!!! La cattiva notizia è che la Cina, forse non sorprendentemente per alcuni, ha totalmente violato il nostro accordo”.
Nel frattempo il segretario al Tesoro Scott Bessent faceva sapere che le trattative commerciali con le controparti cinesi per raggiungere un’intesa completa sono un “po’ in stallo” e potrebbero aver bisogno di essere rilanciati con una telefonata tra Trump stesso e il presidente cinese Xi Jinping. “Credo che avremo altri colloqui nelle prossime settimane e credo che potremmo anche arrivare a una chiamata tra il presidente e Xi. L’entità dei colloqui richiederà che i leader si confrontino”.
L’accusa alla Cina è il culmine di giorni di iniziative contro Pechino decise dall’amministrazione, fra i nuovi limiti alla esportazioni e il giro di vite sui visti agli studenti cinesi (ce ne sono 277.000 negli Usa). Azioni che – secondo gli analisti – rientrano nella più ampia campagna dell’amministrazione per un ‘decoupling’ dalla Cina nella convinzione che i legami economici e culturali siano una minaccia alla sicurezza nazionale. Impegnata nella trattative a tutto campo per spuntare intese commerciali, l’amministrazione Trump lavora anche a un piano B per salvare e schermare la politica commerciale del presidente, gettata nel caos dalla decisioni dei tribunali americani che l’hanno evidentemente indebolita. Forte della decisione della Corte di Appello di mantenere almeno per ora in vigore le tariffe, la Casa Bianca valuta il ricorso ad altre leggi che consentano al presidente di decidere unilateralmente e senza il Congresso in materia commerciale. Una delle opzioni al vaglio è l’imposizione di tariffe in base a una disposizione mai utilizzata prima del Trade Act del 1974, che include una clausola che consente dazi fino al 15% per 150 giorni per affrontare gli squilibri globali. L’amministrazione però è consapevole che il ricorso a una legge diversa da quella bocciata dalla Us Court of International Trade rischia di essere visto dai tribunali come un’ammissione di sconfitta. E per questo sembrerebbe guardare con fiducia alla Corte Suprema a maggioranza conservatrice, alla quale potrebbe ricorrere e considerata la possibile ‘salvatrice’ di ultima istanza di Trump.