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Gaza, nell’attacco al campo di Maghazi morti i 4 figli del fotoreporter Al-Aloul. Al Fatto Quotidiano aveva detto: “Nulla ci protegge”

Fotocamera in mano, stava documentando le conseguenze dei raid israeliani quando è uscita la notizia dell’attacco al campo profughi di Maghazi. Lo stesso quartiere dove vive con la sua famiglia. “Mi trovavo a Khan Younis. Le informazioni sono arrivate gradualmente. Mi dicevano: “Tuo figlio è ferito, tua figlia è ferita”. Così il fotoreporter dell’agenzia turca Anadolu, Mohammed Al-Aloul, ha scoperto che tra le decine di persone senza vita sotto le macerie lasciate dalle bombe c’erano anche i suoi quattro bambini. Maghazi, nella zona centrale della Striscia di Gaza, è stato colpito nella notte tra sabato 4 e domenica 5 novembre. Sono morte almeno 51 persone, secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa e centinaia sono i feriti trasportati all’ospedale.

In un’intervista fatta appena due giorni fa, Al-Aloul aveva spiegato al Fattoquotidiano.it le drammatiche condizioni in cui lavorano i giornalisti palestinesi all’interno di Gaza, gli unici operatori dell’informazione che in questo momento possono mostrare ciò che avviene nella Striscia. Aveva parlato dell’estrema precarietà, del costante rischio per la propria vita e dell’impossibilità di sapere cosa gli sarebbe accaduto il giorno dopo. “Mi sento sempre in pericolo” aveva detto. “Siamo sotto continui bombardamenti e nessuno è al sicuro. Ho l’attrezzatura per la stampa il gilet e il caschetto ma questo non mi protegge. Non esiste un luogo dove lavorare al riparo dagli attacchi, nemmeno dove sedersi e fare i servizi. Io cerco di seguire tutto ciò che accade, ovunque. Tutti i miei sforzi si concentrano sul documentare i crimini che gli israeliani stanno commettendo contro i civili a Gaza. Domani? Non so cosa mi accadrà”.

36 anni, fotoreporter dal 2008, Al-Aloul è nato e cresciuto nel campo profughi di Maghazi, nella città di Deir al Balah. L’attacco di questa notte ha distrutto la casa dei suoi vicini e nell’esplosione ha fatto crollare anche parte della sua abitazione. “Sono arrivato a casa mia – ha detto all’agenzia Anadolu – e ho scoperto che il mio quartiere era stato cancellato e che i miei figli erano stati uccisi. Anche mio fratello, i miei nipoti e le mie sorelle. Non è rimasto nessuno. La mia casa era sicura, era considerata un rifugio per gli sfollati. Non avevo ricevuto nessun avvertimento dall’esercito. Il mio vicino era un dipendente dell’Unrwa”. Le forze di difesa israeliane hanno detto alla Cnn che stanno esaminando le circostanze dell’esplosione.

Tanti i colleghi che hanno commentato la notizia. “Al-Aloul è uno dei giornalisti più belli e gentili che si possano incontrare durante il lavoro sul campo a Gaza” ha scritto su Instagram il fotografo di Gaza, Mohammed Al Masri. “Le abitazioni sono state presa di mira mentre lui si trovava al lavoro. Al-Aloul è rimasto scioccato quando ha scoperto della morte dei suoi figli e dei suoi parenti. Questo giornalista palestinese, abituato a documentare la realtà e la verità del conflitto, è diventato lui stesso un’immagine e un evento, insieme alla sua famiglia”.

In meno di un mese sono già morti 31 cronisti palestinesi, 5 israeliani e due libanesi. L’ultimo ucciso insieme alla sua famiglia da un raid israeliano in Libano. L’attacco è avvenuto nei pressi di Aynata, nel distretto di Bent Jbeil. Pochi giorni fa, nel sud della Striscia, è morto Muhammed Abu Hatab, corrispondente della Tv Palestinese. Abituati a stare dietro le fotocamere, diversi reporter hanno vissuto il trauma di trovarsi improvvisamente davanti all’obiettivo. Di fronte alle immagini della loro casa in macerie, delle loro famiglie senza vita all’obitorio. Il 25 ottobre era accaduto anche al giornalista di Al Jazeera Wael Al-Dahdouh, al quale un attacco aereo delle forze israeliane ha sterminato l’intera famiglia: moglie, figlia, figlio e un nipote uccisi mentre si trovavano nella casa dove si erano rifugiati. Il cronista aveva ricevuto la notizia della loro morte in diretta, e le immagini del suo strazio di fronte ai corpi dei figli hanno fatto il giro del mondo.