Cinema

Io, i miei figli e la Delia di Cortellesi. Il racconto attuale di un’Italia (ancora) in bianco e nero

Le scuole dovrebbero prevedere un’uscita didattica per il film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani. Insegnanti, presidi, supplenti dovrebbero portare a vedere quest’opera prima a ragazzi e ragazze dagli undici ai diciotto anni, convertire le loro materie tra i banchi in ore in sala cinematografica e investire – fatica, interesse e risorse – in una didattica fuori dalla scuola. Dovrebbero fare questo sforzo per una fascia d’età che è quella in cui la coscienza si forma e si fa manifesto di una consapevolezza.

E’ stato il primo pensiero che ho avuto mentre scorrevano davanti ai miei occhi le ultime immagini di un film destinato, è il mio augurio, a non fermarsi qui. Ad andare oltre il tutto esaurito della serata d’uscita, oltre un’ottima critica, oltre i meritati premi ricevuti alla Festa del Cinema di Roma: riconoscimento del Pubblico, la Menzione Speciale Miglior Opera Prima e il Premio Speciale della Giuria. Perché dentro a quel tempo della pellicola che va, ci sono i capisaldi di un’emancipazione femminile raccontata attraverso un prisma di eventi che tutti abbiamo conosciuto e riconosciuto attraverso la storia della protagonista, Delia.

Il suo, madre di tre figli, moglie, badante del suocero e lavoratrice occasionale, è il racconto di un inno alla libertà che non bisogna mai dare per scontata ma è soprattutto il racconto attuale di un’Italia in bianco e nero.

Una storia, neorealista e vera, che i millennials non conoscono. Ma che si può studiare anche così, attraverso un film in bianco e nero che ti fa rituffare in quei vestiti, in quegli arredi, davanti a quella credenza in cucina che da bambini abbiamo visto nelle case dei nostri nonni. O davanti a quella canottiera messa in mostra dagli uomini sotto a camicie aperte, che era uno stile sì, ma solo di un certo ceto sociale. Una vicenda snocciolata dentro a un dedalo di vie e cortili interni a palazzi popolari romani che riportano a una dimensione della strada e della socialità. Una storia italiana ambientata nel passato ma che purtroppo non è una storia passata, soprattutto quando vediamo la violenza cieca e domestica, ignorante e brutale dell’uomo-bestia scagliarsi contro una donna, una madre, una persona ritenuta senza diritti.

Mentre scorrevano i titoli di coda e le luci erano ancora basse, mi è venuto in mente che il 25 novembre celebreremo la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Tra circa venti giorni. Mi sono chiesta quanto sarebbe più utile far vedere ad amiche, sorelle, figlie, cugine e colleghe la storia di Delia. Il racconto di un’emancipazione che non è, no, nell’ultima parte (che non rivelerò e che dà il titolo al film), ma in quel gesto quotidiano, ostile, audace e rivoluzionario, del trattenere per sé una parte dei propri guadagni quotidiani. “So’ un po’ de mesi che me rubbo quarche sordo dai lavoretti mia”, dice la protagonista all’amica, che stupita rilancia: “Non ho capito, come rubbi… So’ sordi tua”. Lo sguardo stupito che le due si scambiano, per motivi opposti, per loro visioni troppo distanti. Ma sarà quel gesto, all’inizio furtivo e poi via via sempre più meccanico ad affrancare mentalmente Delia da una dimensione di sottomissione: mettere da parte, accantonare, isolare una parte del proprio stipendio significa costruire, darsi le basi per edificare. Qualcosa di indispensabile? Sì, ma non per forza. Perché il denaro, poco o tanto che sia, tutto per sé – ho continuato a pensare mentre uscivo dal cinema tra commenti entusiasti e occhi lucidi – è come la stanza tutta per sé di Virginia Woolf: un porto sicuro al quale, se necessario, si deve avere la certezza di poter approdare. Parte da qui quella che si chiama educazione finanziaria, a scuola purtroppo non si studia.

A proposito di finanziaria, mentre camminavo verso l’uscita mi sono sorpresa a fare un collegamento con l’attualità stretta. Sono i giorni della manovra, l’unica legge che davvero dà l’idea di un Paese e della direzione che intende prendere. Se si sta per andare avanti o indietro, sostanzialmente. In questo senso, il ritorno alla tassazione del 10% per assorbenti femminili, ad esempio, non è un bel segnale, tanto per dirne una. Quindi questo film dovrebbero vederlo anche i nostri politici, ho pensato mentre svogliatamente prendevo la via di casa. Perché chiarisce l’importanza della consapevolezza finanziaria, come per le donne sia l’unica arma che le rende davvero libere. Un messaggio che arriva a meno di un mese dall’assegnazione alla professoressa Claudia Goldin dell’Università di Harvard del Premio Nobel per l’Economia “per aver fatto progredire la nostra comprensione dell’andamento del mercato del lavoro per le donne”, si legge nelle motivazioni. Una carriera, quella di Goldin, frutto di un lavoro incessante tra dati d’archivio e studi dai quali emerge che tra le tante, alcune delle ragioni che hanno consentito di capire che cosa si nasconde dietro l’ascesa e il declino del lavoro pagato delle donne, sono l’impatto della pillola contraccettiva e l’afflusso di donne nell’istruzione superiore.

Ho ripensato ancora una volta al film. La Delia di Cortellesi è un personaggio epico e un’eroina ma non dei tempi andati. E’ moderna, modernissima. Sarebbe stata materia preziosa tra le mani di Goldin. Se un personaggio esce così prepotentemente dallo schermo per sedersi accanto a chi l’ha visto in macchina, e poi a casa, e poi ancora a lavoro, allora vuol dire che la scommessa è vinta e che quell’uscita al cinema è una storia di oggi, più attuale che mai. Anzi, è una storia universale in cui la violenza subita, accettata e quotidiana è il lasciapassare per diritti negati che fino in fondo non si sa di possedere. Fino a quando non si decide di correre il rischio di emanciparsi, di rendersi autonome, libere, mentalmente ed economicamente indipendenti.

Da quel momento il passo verso l’epilogo del film è un attimo. Ma lì si sfocia sui valori, e quello è un altro capitolo.

E’ un film, ho concluso, quando ormai era tardi, che devo tornare a vedere con tutti e due i miei figli, una ragazza e un ragazzo. Ce li porto io, diciotto e sedici anni, vedi mai che la scuola non dovesse portarceli. Vedi mai che non dovessero trovare tempo per andare, che le loro amicizie non fossero dell’idea di andare, vedi mai che. No, ho spento la luce decisa, non voglio mai vedere che, non posso permettermelo. Al contrario, ho ripensato a Delia, eroina in bianco e nero, voglio aver fatto di tutto per.

(Aggiornamento dell’8 novembre)

p.s.
Intanto, mentre del film si parla sempre di più e le sale continuano a registrare il sold out, due professionisti della scuola, una docente e un preside, fanno sapere di aver organizzato con le loro classi la visione del film C’è ancora domani, di Paola Cortellesi. È giusto raccontarlo da parte mia ed esprimere il massimo della stima a chi dedica il suo tempo e la sua testa ben oltre l’orario scolastico. Avevo espresso un auspicio, la loro professionalità è arrivata prima. Grazie dunque al preside Eusebio Ciccotti, oltre duemila studenti dell’Istituto Majorana-Pisano di Guidonia (RM). E grazie anche alla professoressa Raffaella Leo, docente della Scuola secondaria di primo Grado A. Galateo di Lecce. Il 27 novembre la scuola in cui insegna porterà tutti i suoi settecento alunni a vedere il film. I ragazzi parteciperanno poi a un dibattito.