Economia

In settembre l’inflazione italiana frena di 0,1% contro il -0,9% dell’Eurozona. I consumatori: “Il governo faccia qualcosa di serio”

In Italia l’inflazione a settembre frena meno che nel resto dell’Eurozona complice un ritorno delle tensioni sui prodotti energetici. E le associazioni dei consumatori pressano il governo perché faccia “qualcosa di serio” invece che un “provvedimento spot come il trimestre anti-inflazione” lanciato in pompa magna giovedì. Un’operazione che anche secondo il numero uno di Federdistribuzione Carlo Alberto Buttarelli, tra i primi ad aderire, avrà “effetto parziale” visto che le sigle dell’industria di largo consumo hanno solo firmato una lettera di intenti. Un impegno “labile”, dice Buttarelli intervistato da Repubblica, ricordando che anche in Francia un tentativo analogo si è rivelato “poco efficace”.

Partiamo dai numeri: secondo le stime provvisorie dell’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, è aumentato dello 0,2% su base mensile e del 5,3% su base annua, contro il +5,4% del mese precedente. Frena in maniera più consistente il cosiddetto carrello della spesa che vede i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona passare dal +9,4% annuo di agosto a +8,3%, mentre quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto scendono da +6,9% a +6,6%. Il problema è che si allarga la distanza con l’Eurozona dove il tasso, nel mese in cui la Bce ha alzato i tassi al massimo storico dall’introduzione dell’euro proprio per contrastare l’inflazione, è sceso al 4,3% annuo contro il 5,2% di agosto, secondo Eurostat, e l’inflazione core – al netto cioè delle componenti più volatili – si è fermata al 4,5% dal 5,3% di agosto.

Anno su anno rallentano gli alimentari. Risale l’energia – La decelerazione dell’indice principale, spiega l’istituto di statistica, “si deve prevalentemente al rallentamento su base tendenziale dei prezzi degli alimentari non lavorati (da +9,2% a +7,7%), degli alimentari lavorati (da +10% a +9,1%), dei beni durevoli (da +4,6% a +4%) e, in misura minore, dei beni non durevoli (da +5,2% a +4,8%), dei beni semidurevoli (da +2,9% a +2,4%) e dei servizi relativi all’abitazione (da +3,9% a +3,7%). Effetti che sono stati solo in parte compensati da un’accelerazione dei prezzi degli energetici non regolamentati (da +5,7% a +7,6%), dalla minore flessione di quelli degli energetici regolamentati (da -29,6% a -27,8%) e dall’aumento del ritmo di crescita dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +1,2% a +3,8%). Ma su base mensile l’indice cresce. Il motivo? I prezzi dell’energia stanno risalendo. Aumentano quelli degli energetici regolamentati (+2,5%) e non regolamentati (+1,6%), e in scia i listini degli alimentari non lavorati (+0,6%), dei beni semidurevoli e dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,5% per entrambi) e dei servizi vari (+0,3%), solo in parte compensati dall’attenuazione dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (-1,7%).

I consumatori: “Serve intervento serio” – “Nonostante non ci siano più le condizioni che hanno portato all’escalation dei listini al dettaglio, come bollette energetiche alle stelle, effetti della guerra in Ucraina e crisi delle materie prime, i prezzi in Italia faticano a diminuire – commenta Assoutenti con il presidente Furio Truzzi -. In particolare alimentari e bevande continuano a registrare una inflazione altissima, pari all’8,7% annuo, equivalente ad una maggiore spesa da 669 euro all’anno per una famiglia con due figli solo per mangiare. Livelli dei prezzi che erodono giorno dopo giorno redditi dei cittadini e capacità di acquisto delle famiglie, una situazione che va contrastata con più coraggio da parte del governo: va bene lanciare panieri trimestrali salva-spesa, ma ciò che più di tutto serve adesso è un intervento sulla tassazione dei beni energetici, dalle bollette ai carburanti”.

“Una goccia nel mare”, concorda Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. “Purtroppo sul mese precedente i prezzi salgono ancora molto, +0,2%. Per questo urge che il governo faccia qualcosa di serio sull’inflazione, mettendoci i soldi, ad esempio tagliando le accise sui carburanti o riazzerando gli oneri di sistema sulla luce che hanno rimesso a partire da aprile”. Cosa che avrebbe consentito “di far scendere il rialzo dei prossimi tre mesi dal +18,6% annunciato ieri da Arera al 4,9 per cento”. Altre proposte? “Dovrebbero almeno stracciare l’attuale inconcludente disegno di legge sulla concorrenza, altro provvedimento spot come il Trimestre anti-inflazione, e, ad esempio, eliminare il DPR che impedisce ai negozianti di fare più di 3 offerte sottocosto all’anno e per una durata superiore a 10 giorni. A che servono 3 mesi di Patto anti-inflazione, se poi le offerte vere, quelle sottocosto, sempre che non le abbiano già fatte nei primi 9 mesi dell’anno, non le potranno fare per più di 10 giorni?”.

Il presidente di Federconsumatori, Michele Carrus, aggiunge che “a questi livelli le ricadute per ogni famiglia, in termini annui, sono pari ad un aggravio di 1.579,40 euro. Appare evidente come, di fronte ad una situazione così allarmante, aggravata anche dai prezzi dei carburanti elevatissimi e dalla continua corsa al rialzo dei tassi dei mutui, il trimestre anti-inflazione si configuri sempre di più come un’operazione di facciata, che purtroppo non sarà sufficiente per dare respiro alle famiglie e nuova spinta alla domanda interna. È necessario ed urgente, come chiediamo da tempo, che il governo si impegni”.