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L’accordo Ue con la Tunisia per non far partire i migranti è una soluzione immonda

di Andrea Vivalda

Nelle stesse ore in cui il governo italiano festeggia ciò che definisce una vittoria, pomposamente esaltata dai fedeli media di Stato, il rappresentante della Banca Mondiale Alexandre Arrobbio si pronuncia in un’intervista a La Presse de Tunisie: “Il nuovo quadro di partenariato si adatta alle esigenze della Tunisia”. Il quadro è quello dell’accordo per cui l’Europa pagherà il governo di Tunisi per “non far partire i migranti”, la cui ratifica è stata a più riprese rifiutata dal leader tunisino Saïed al chiaro scopo di alzare il prezzo e che apparirebbe ormai raggiunta, con la benedizione di Borrell e Von der Leyen.

Sembrerebbe una storia a lieto fine: il FMI contento perché forse recupera qualche soldo (pagato dall’Europa) del debito della Tunisia; la Tunisia contenta perché incassa e – secondo la Banca Mondiale – l’accordo le suona piuttosto conveniente; l’Italia contenta perché crede di aver imposto la propria linea; l’Europa contenta perché non deve rispettare la redistribuzione di quei migranti che non sbarcheranno sulle coste italiane: alla faccia della “vittoria” diplomatica, facile imporre all’Europa “linee” quando esse convengono all’Europa.

Ma ne saranno contenti anche i veri protagonisti della questione? Cioè coloro che fuggendo per la sopravvivenza dalle molteplici situazioni di guerra e di carestia in area subsahariana giungeranno in Tunisia dove, per via dell’accordo, non verranno fatti partire? Soprattutto, in che modo “non verranno fatti partire”?

Non sono solo le Ong, ma anche i numerosi reportage di giornalisti indipendenti ad averci raccontato il clima xenofobo instaurato in Tunisia con il governo Saïed e non è difficile immaginare che, del denaro ricevuto dai finanziamenti, solo una minima parte verrà utilizzata per qualche struttura fatiscente e disumana in cui “ospitare” i migranti: probabilmente veri e propri lager al pari di quelli (ampiamente documentati) costruiti in Libia dopo il trattato Minniti di qualche anno fa. Non a caso i dettagli dell’accordo – soprattutto in termini di rispetto dei diritti umani – da giorni richiesti dalle Ong sono tuttora taciuti.

Del resto, se sul lato economico pare assai difficile pensare di poter ricevere rendiconti di spesa precisi da un paese come la Tunisia attuale, ben distante dai rigidi criteri di gestione previsti dalla Ue, pare ancor più difficile potersi aspettare il rispetto dei diritti umani da una nazione che all’art. 230 del codice penale punisce con 3 anni di reclusione i rapporti omosessuali e che ha concentrato il potere giudiziario e quello legislativo sotto il controllo di quello esecutivo (rapporto Amnesty International 22-23).

In un memorandum d’intesa ipocritamente sbandierato come iniziativa umanitaria e “vittoria” diplomatica, forniremo dunque denaro a questo paese che con ogni probabilità lo utilizzerà in massima parte per fini ben lontani dall’integrazione e la crescita sociale, in cambio di “non far partire” i migranti o di riaccettare quelli che rifiuteremo, rinchiudendoli in lager che chiameremo probabilmente “hub di accoglienza remoti”: occhio non vede, cuore non duole.

Il “lieto fine” in chiave Meloni-Von der Leyen si traduce di fatto nell’affrontare il problema nel modo più semplice: pagare qualcuno per nasconderlo sotto la sabbia. E’ una soluzione scarsa per qualunque problema, ma quando “il problema” sono esseri umani appare una soluzione immonda.

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