Salute

La fabbrica delle malattie muove interessi enormi: serve sempre dialettica tra medico e paziente

Essere obesi è una malattia, ma anche essere sovrappeso? Bere un bicchiere di vino è una malattia o lo è solo essere alcolisti? Essere calvi, con un dente storto, un naso pronunciato sono malattie? Essere triste e pensieroso è una malattia? Queste domande mi sono venute in mente guardando su Internet un pezzo della trasmissione PiazzaPulita in cui alcuni esperti bollavano Luca Telese come malato di obesità mentre lui, secondo me giustamente (visto che non si era affidato alla loro competenza medica), si sentiva sano.

La fabbrica delle malattie è sempre in funzione, alimentata da interessi economici enormi. Se infatti le società scientifiche spostassero la soglia del colesterolo accettabile in basso, improvvisamente milioni di esseri umani comincerebbero ad assumere sostanze per cercare di ridurlo e rientrare in quei parametri. Sono un medico, per cui lungi da me l’idea di non concorrere alla salute individuale e collettiva, ma sono anche psicoterapeuta e credo che dobbiamo riconciliarci con “Sorella nostra morte corporale” secondo la stupenda definizione di San Francesco. Se volessimo fare una battuta potremmo affermare che la vita è una “malattia” incurabile ad esito certamente infausto. Occorre riconoscere questo dato di fatto ed accettarsi.

Un amico medico di famiglia mi racconta che una signora gli chiese di fare tutti gli esami disponibili per sincerarsi del suo stato di salute. Il medico la informò che sono un numero estremamente elevato e non ha senso attuare interventi anche molto invasivi. Inoltre se si potessero fare tutti, conclusi gli esami, bisognerebbe ricominciare perché, nel frattempo, il corpo sarebbe cambiato. Se tutta la popolazione potesse fare tutti gli esami si scoprirebbe che moltissime persone hanno parametri fuori dalla norma. Sono tutti malati anche se, fortunatamente, non ne sono consapevoli?

Se quelli che si possono definire “fondamentalisti del benessere” avessero un figlio come Giacomo Leopardi lo porterebbero dall’ortopedico per raddrizzargli la gobba e dallo psichiatra per farlo diventare più allegro. Forse avremmo un ragazzotto dedito agli aperitivi in più e un genio in meno. Una mia paziente un giorno venne in studio e con malcelata soddisfazione mi raccontò che il medico di famiglia, suo coetaneo, era deceduto. Incuriosito cercai di capire come mai fosse quasi contenta. La risposta sconcertante è che lui per anni le diceva tutte le volte che andava a visita “devi calare di peso, smettere di fumare, non bere. Se continui così morirai giovane”. Qui naturalmente entra in gioco il dato statistico che per ragioni di spazio non affronto.

Mentre scrivo mi rendo conto che forse sto esagerando. Quando si ha a che fare con fondamentalisti si tende psicologicamente ad assumere una posizione avversa per riequilibrare le opinioni. In realtà la situazione è più sfumata e complessa, per cui è giusto essere attenti alla propria salute e valutare le informazioni mediche che ci giungono da fonti autorevoli.

Occorre chiarirsi rispetto al concetto di malattia. La definizione: “stato di sofferenza di un organismo in toto o in sue parti” è molto generica. L’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) che l’ha redatta non ha specificato che la definizione di malattia deve risultare sempre dall’incontro dialettico fra il medico e il paziente che a lui si affida. Non può essere la conseguenza di un solo dato, altrimenti non ci sarebbe bisogno di medici ma di computer. Il medico valuterà la situazione del paziente nel suo divenire e nella sua relazione con la vita e il mondo che lo circonda. Non si baserà su un solo parametro, come ad esempio l’indice di massa corporea, per definire se è malato e se questo elemento sia uno stato (come la calvizie, la gobba, il naso lungo o il dente storto) o una malattia. Il paziente che si affida a quel medico dovrà interagire e autodefinirsi malato o non malato in base a suoi personali parametri, difficili da codificare dall’esterno. Ad esempio per alcuni a certe età essere calvi o avere un naso alla Dante Alighieri è intollerabile mentre per altri, o per gli stessi ad altre età, sarà un modo di essere unici nel mondo. Questo a prescindere dal fatto che da un punto di vista puramente fisico nella calvizie i bulbi piliferi sono sofferenti e si atrofizzano e il naso casomai è frutto di una pallonata ricevuta sul volto da piccolo.

Anche il sovrappeso e l’importanza che può avere per quella persona sarà oggetto di una dialettica interazione fra il paziente e il suo medico che potranno o meno addivenire alla diagnosi di una malattia. Uniche eccezioni parziali sono quelle sofferenze che impediscono al paziente di autodefinirsi (uso di stupefacenti o alcol in misura smodata, schizofrenia e altre psicosi).

Concludo ritornando alla trasmissione che ha fatto scaturire queste riflessioni. Come si sarà capito, fra la bella dottoressa magra e, a dire la verità, un poco ossuta e il paffutello Luca Telese la mia simpatia va a quest’ultimo.