Cronaca

Armi leggere, il rapporto: “L’Egitto usa made in Italy per violare i diritti umani. Export e cooperazione cresciuti dopo l’omicidio Regeni”

“L‘Italia non ha mai interrotto l’esportazione di armi piccole e leggere verso l’Egitto, anche dopo l’omicidio di Giulio Regeni. Anzi, il commercio tra Roma e il Cairo, così come la cooperazione tra i due Paesi, è cresciuto, raggiungendo un valore superiore ai 62 milioni di euro“. A denunciarlo è il rapporto “Made in Italy per reprimere il dissenso” presentato alla Camera dei deputati da EgyptWide for Human Rights, una ong che si occupa di diritti umani, insieme ad Archivio Disarmo, Amnesty International Italia e Rete italiana Pace e Disarmo.

Il rapporto ha documentato l’uso improprio da parte della polizia e delle forze armate e di sicurezza in Egitto delle armi leggere di fabbricazione italiana, sottolineando la reticenza da parte dei produttori e degli Stati: “Si tratta di un commercio caratterizzato da una notevole opacità e da una cronica mancanza di trasparenza: gli organismi di regolamentazione statali e internazionali faticano a monitorare il trasferimento dei sistemi d’arma. Abbiamo però registrato, incrociando diverse banche dati governative e internazionali, come l‘Italia abbia venduto all’Egitto oltre 30.120 revolver e pistole automatiche, più di 3.600 fucili e più di 470 fucili d’assalto, oltre a un numero imprecisato di carabine, mitragliatrici leggere e pesanti, fucili da caccia, munizioni, tecnologia e software per uso militare e componenti di ricambio”, è stato sottolineato dalla ong. “Si tratta di armi letali, ma facilmente occultabili e difficili da tracciare“, ha sottolineato Alice Franchini, di EgyptWide.

Di fatto, è stato denunciato, “l’Italia contravviene alle disposizioni contenute nella legge 185/1990, la Posizione comune europea 2008/944/PESC e l’Arms Trade Treaty, che vietano l’esportazione di materiale militare verso Paesi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani o in cui tale materiale possa essere utilizzato per la repressione interna”.
“Nella legge 185 il comma 9 permette di non applicare le norme con quei Paesi con i quali è stato siglato un accordo di cooperazione militare. E siccome il nostro Parlamento ne ha approvati circa una cinquantina (extra Nato ed extra Ue, ndr) di fatto le esportazioni sono concesse legalmente, in violazione dello spirito della stessa legge 185/1990″, precisa Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo. Non è un caso che più volte dalla società civile sia stato lanciato (invano) l’appello ai vari governi di rendere più stringenti le norme, più volte violate e aggirate. “Inoltre dalla legge sono escluse le armi leggere civili. E le norme che fanno riferimento a queste sono molto obsolete”; chiarisce anche Barbara Gallo, di Archivio Disarmo.
EgyptWide nel suo rapporto ha fatto luce sugli episodi in cui le armi da fuoco prodotte in Italia sono state utilizzate per commettere abusi, come repressione interna, brutalità della polizia nei confronti di manifestanti, persino esecuzioni extragiudiziali: “Tra i modelli d’arma esportati dall’Italia ed utilizzati per commettere violazioni dei diritti umani, spiccano i fucili Beretta 70/90 e ARX160, i fucili Benelli M3T Super 90 e M1 Super 90, e le pistole Beretta F92″, si legge nel rapporto, in cui si chiede al governo di fermare i trasferimenti di armi all’Egitto “alla luce del loro comprovato utilizzo in violazioni dei diritti umani”. “Chiediamo al Parlamento che venga fatta una commissione d’inchiesta affinché si verifichi l’uso delle armi italiane da parte del regime di Al Sisi. E al governo che vengano congelate le licenze e stoppata ogni forma di commercio d’armi“.
Tradotto, altro che la più volte sbandierata ‘ricerca della verità’ da parte dei (sei) governi italiani sul caso Regeni. L’Italia non si è fatta scrupoli di continuare con l’export di armi leggere, tutto mentre il Cairo ha continuato il suo ostruzionismo e il depistaggio delle indagini, rifiutandosi di collaborare con i pm italiani. E senza fornire gli indirizzi – necessari per il momento per far ripartire il processo – per l’elezione di domicilio degli imputati. Ovvero, i quattro agenti egiziani della National Security Agency, il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, accusati di avere sequestrato, torturato ed ucciso il ricercatore friulano. Eppure, anche dal governo Meloni si continua a ripetere il mantra della ‘collaborazione egiziana’ (l’ultimo il ministro degli Esteri Antonio Tajani) in realtà totalmente inesistente, come più volte ha denunciato la famiglia.
“Il caso Regeni è esemplare della complicità tra i governi italiano ed egiziano”, ha rivendicato Sayed Nasr, fondatore di EgyptWide. “Tuttavia non credo che serva utilizzare questo caso come grimaldello, ma al contrario vedremo passi avanti quando cambieranno i rapporti tra Roma e il Cairo, verso una richiesta reale di rispetto dei diritti umani”, ha aggiunto. Per poi sottolineare però la ‘normalizzazione’ ormai in atto: “Quel che registriamo è che dopo i continui viaggi e incontri recenti tra i vertici italiani ed egiziani, il caso Regeni è diventato soltanto una nota a margine dei comunicati“.