Salute

Finita la pandemia, tiriamo le somme: tenere chiuse le scuole così a lungo è stato un errore

di Sara Gandini (epidemiologa e biostatistica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano) e Presidio primaverile per una Scuola a scuola” – Liceo Leonardo da Vinci, Casalecchio di Reno (BO)

Il recente annuncio del direttore generale dell’OMS, Tedros Ghebreyesus, sulla fine dell’emergenza pandemica da Covid-19 rafforza l’impressione che sia giunta finalmente l’ora di un bilancio. Dopo tre anni, ciò che in mezzo al succedersi imprevedibile delle ondate poteva sembrare un esercizio prematuro, diventa oggi del tutto legittimo, anzi doveroso. Tirare le somme su ciò che ha o non ha funzionato nelle strategie di sanità pubblica è necessario innanzitutto ad attrezzarsi meglio per il futuro, ma è anche un imperativo morale. Soprattutto a fronte dell’inconfessata quanto costante tendenza della politica a sottrarsi a qualunque redde rationem, prima in nome della logica delle “scelte obbligate”, adesso in ragione delle emergenze nuove (la guerra e i suoi spettri nucleari, l’inflazione) e meno nuove (le emigrazioni, il cambiamento climatico) da affrontare.

Invitato sulle pagine del Corriere a redigere un primo bilancio degli anni della pandemia, Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto farmacologico “Mario Negri”, non ha avuto esitazioni a registrare nella colonna di ciò che ha funzionato il contributo della ricerca internazionale sui vaccini, così come la centralità del Servizio Sanitario Nazionale, ancorché penalizzato dallo stato di abbandono in cui versa la “medicina del territorio”. Nella colonna di ciò che non ha funzionato, invece, Remuzzi colloca al primo posto uno dei pilastri della politica anti-Covid dei governi italiani. Con una affermazione secca, nettissima, “le scuole sono state chiuse più del necessario”, sottolinea una pesante verità che ora comincia a farsi strada. Perché quel “più del necessario” significa non solo che un errore è stato compiuto, ma che un danno è stato causato, alle persone e alla società.

Dopo il lockdown del marzo-maggio 2020, l’Italia nell’autunno 2020 serrò le porte degli istituti ottenendo il record europeo di giorni senza scuola, in particolare per le elementari e per il Sud. Persino il New York Times se ne accorse, commentando che, nonostante gli alti tassi di dispersione, l’Italia aveva preferito chiudere le sue scuole nel primo anno della pandemia tre volte più a lungo della Francia e più della Spagna e della Germania. In uno studio epidemiologico pubblicato già nel marzo 2021 su The Lancet – Regional Health e ripreso dal sito dell’Oms si mostrava invece come ciò fosse “non necessario”, perché i contagi accadevano a scuola con un’incidenza non maggiore che in ogni altro luogo.

Che restrizioni così prolungate avrebbero avuto conseguenze severe sia sul piano formativo, sia su quello psicologico era prevedibile fin dall’inizio. La settimana scorsa una vasta meta-analisi di 53 studi uscita su “Jama Pediatrics” ha concluso che il malessere e addirittura i disturbi (depressione, ansia, ideazione suicidaria) sono sensibilmente aumentati tra i giovani durante e dopo la pandemia. A soffrirne di più, in particolare, le ragazze e, in generale, chi appartiene alle classi sociali più abbienti, probabilmente per la maggior disponibilità di accesso all’uso dei dispositivi digitali, incentivato dalla riduzione delle occasioni di socializzazione faccia a faccia e dall’adozione della didattica a distanza. Dai primi dati di “Eucare”, una ricerca attualmente in corso nelle scuole italiane e finanziata dalla comunità europea, si evince che il 53% dei bambini della scuola primaria riferisce di essere arrabbiato per l’uso di mascherine e il 42% di sentirsi triste nel doverle portare.

Risulta così sempre più evidente che l’enfatizzazione – a mio avviso – infondata del rischio di contagio nelle scuole e la disattenzione della politica verso i minori hanno fatto sì che questi ultimi diventassero le vittime silenziose della pandemia. Per paradosso, proprio il gruppo di età più resistente al virus è stato chiamato a pagare un alto prezzo, “non necessario”. Tutti devono saperlo. Per questo abbiamo scritto L’onda lunga. Gli effetti psicologici e sociali della pandemia sul mondo non-adulto (Erickson, 2023), libro a cura del “Presidio primaverile per una Scuola a scuola”, che sarà presentato il prossimo 26 giugno alla Casa della Cultura di Milano.