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In Europa corrotti in manette, in Italia fuori dal carcere: nel pieno dello scandalo Qatargate il Senato vota per ridare i benefici ai colletti bianchi

Nelle stesse ore in cui vengono perquisiti gli uffici dei nostri eletti a Bruxelles, a palazzo Madama è stato approvato il cosiddetto "Decreto rave", che la maggioranza ha usato come grimaldello per fare un regalo ai detenuti per i reati contro la pubblica amministrazione: potranno tornare a ottenere i benefici penitenziari che ora gli sono preclusi dalla legge Spazzacorrotti, cioè ad avere la garanzia di non fare mai nemmeno un giorno di carcere, proprio come accadeva in passato. L'esatto contrario del "giustizialismo in fase di esecuzione della pena" a cui la premier ha detto di ispirarsi

Mentre a Bruxelles i rappresentanti italiani finiscono in manette per uno scandalo di corruzione internazionale senza precedenti, in Italia il Senato vota per salvare i corrotti dal carcere. Nelle stesse ore in cui l’Eurocamera destituisce la sua vicepresidente e gli investigatori perquisiscono gli uffici dei nostri eletti per trovare tracce di mazzette dal Qatar, a palazzo Madama è stato approvato il cosiddetto “Decreto rave“, il primo atto legislativo del governo di Giorgia Meloni. Che però, a dispetto del nome mediatico, non si occupa solo della contestata norma contro i raduni abusivi, ma di tanto altro, a partire dalla riforma dell’ergastolo ostativo (approvata in extremis per evitare il “colpo di spugna” della Corte costituzionale). Ed è proprio questa parte del provvedimento che la maggioranza, con l’aiuto di Italia viva, ha usato come grimaldello per fare un regalo ai detenuti per corruzione, concussione, peculato e altri reati contro la pubblica amministrazione: dai prossimi giorni – quando il decreto diventerà legge – potranno tornare a ottenere i benefici penitenziari che ora gli sono preclusi dalla legge Spazzacorrotti, approvata nel 2019 (sotto il primo governo Conte) per iniziativa dell’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede. Cioè ad avere la garanzia di non fare mai nemmeno un giorno di carcere, proprio come accadeva prima di quella legge. E pensare che pochi giorni fa la presidente del Consiglio, parlando con i giornalisti, si era auto-definita “una giustizialista nella fase di esecuzione della pena“, in contrapposizione al rivendicato garantismo “nella fase di celebrazione del processo”.

Ricordiamo il contesto. Nel 2019 – grazie alla Spazzacorrotti – i gravi reati contro la pubblica amministrazione sono stati affiancati a quelli di mafia e terrorismo nell’elenco degli “ostativi” previsti dall’articolo 4-bis della legge sull’ordinamento penitenziario. Cosa significa? Che i condannati per queste fattispecie non possono accedere ai benefici carcerari (come il lavoro esterno, i permessi premio o le misure alternative alla detenzione) se non collaborano con la giustizia a norma dell’articolo 323-bis del codice penale. E cioè adoperandosi “per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite”. Una norma da sempre invisa ai berlusconiani, che hanno sfruttato la conversione in legge del decreto rave per chiedere e ottenere un dietrofront. Il 6 dicembre la Commissione Giustizia del Senato ha infatti approvato l’emendamento di Pierantonio Zanettin (Forza Italia) che elimina dall’articolo 4-bis il riferimento ai reati che vi erano stati aggiunti nel 2019: peculato, concussione, corruzione per l’esercizio della funzione o per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione di incaricato di pubblico servizio, istigazione alla corruzione. A votare a favore, oltre ai senatori del centrodestra, anche Ivan Scalfarotto di Italia viva.

La modifica è così entrata a far parte del testo del decreto approvato dall’Aula del Senato, che nei prossimi giorni – a meno di cataclismi – diventerà legge dopo il passaggio alla Camera. Una vittoria per Forza Italia, che ha barattato l’ok a quell’emendamento con il via libera al resto del provvedimento (nonostante i mal di pancia su diversi aspetti). “Il voto della Commissione Giustizia, che ha eliminato l’inaccettabile parificazione dei reati contro la pubblica amministrazione con quelli di mafia ai fini del diritto ai benefici penitenziari, voluta dalla foga giustizialista dei M5s, costituisce un segnale inequivoco di un nuovo corso di piena valorizzazione dei principi indicati nella Carta costituzionale”, ha festeggiato il viceministro azzurro Francesco Paolo Sisto. Sulle barricate invece i 5 stelle, che del carcere per corrotti e corruttori avevano fatto una bandiera: “Con l’attacco alla legge Spazzacorrotti una maggioranza trasversale si assume la responsabilità di concedere l’accesso ai benefici penitenziari ai condannati per peculato, corruzione e concussione. In questo modo fanno finta di non sapere che mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia. Il nostro è un invito accorato, a difesa della legalità: tornate indietro sui vostri passi, il dovere del Parlamento è difendere la gente comune, non i colletti bianchi“, ha detto in discussione generale il senatore Ettore Licheri. Peraltro, nel febbraio 2020, la stretta di Bonafede era stata approvata dalla Commissione europea nella relazione economica sull’Italia, che segnalava “la crescente contiguità tra corruzione e criminalità organizzata segnalata dalle Procure”, che giustificava “l’estensione ai casi di corruzione delle misure investigative per la lotta contro la criminalità organizzata”. Il governo della prima premier donna, però, ha scelto di smantellare quei passi avanti. Alla faccia del “giustizialismo”.