Scuola

Scuola senza voti, perché aggiungere caos al caos? Io dico di concentrarci più su come usarli

di Giuliano Checchi

L’esperimento fatto al Liceo Morgagni di Roma ha generato l’ennesimo dibattito sull’opportunità o meno di valutare gli studenti con un voto espresso numericamente. Questo esperimento prevede che i professori, pur continuando a sottoporre gli studenti ad interrogazioni e verifiche, non diano valutazioni con voti numerici, ma si limitino a consigliare e a correggere, a seconda dei casi.

I voti dovranno, comunque, poi essere attribuiti nelle pagelle di fine quadrimestre e di fine anno. Immancabile il dibattito fra chi si schiera a favore e chi si schiera contro. A mio avviso, non è che l’ennesimo dibattito inutile. Ci sarebbe già da discutere, sull’opportunità o meno di un esperimento simile.

Voglio dire: già gli istituti scolastici vanno in ordine sparso, ma finché si tratta di differenze imposte dalle situazioni oggettive, che variano a seconda dei territori e delle tante altre variabili, è fisiologico. Se però addirittura, tutti gli istituti cominciano a sentirsi liberi di fare “esperimenti” così innovativi e rivoluzionari, non si rischia di aggiungere caos al caos?

Chiusa parentesi. L’inutilità del dibattito fra favorevoli e contrari è dovuta al fatto che a parte trascurare i problemi reali in cui si dibatte da anni la scuola pubblica, si perde di vista quello che è il vero e primario obiettivo dell’istruzione pubblica. Ossia consentire a tutti, senza distinzione di censo, classe sociale o altre situazioni personali, di imparare qualcosa e metterlo a frutto per sé e per gli altri.

Concentrarsi sull’opportunità o meno del voto espresso in numeri è il classico falso problema. Così come il voto non deve essere lo scopo principale dell’istruzione, ugualmente il toglierlo, l’abolirlo, non migliorerebbe di una virgola l’efficacia della scuola italiana! Perché se è vero che alle elementari o alle medie il voto non può essere indicativo dell’effettivo grado di bravura o intelligenza è altrettanto vero che un bambino o un adolescente, non ha sufficiente maturità per fare un bilancio su sé stesso e finirà per farsi un’idea completamente sbagliata, se non ci sarà un voto a dargli un’indicazione o a costituire uno stimolo!

Alle superiori, certo, il discorso cambia perché si suppone che gli studenti abbiano raggiunto una sufficiente maturità personale. Ma, a maggior ragione, quella è la fase in cui uno deve capire quali sono i veri punti di forza su cui concentrarsi di più. L’assenza totale di un voto, o di una valutazione, potrebbe farli perdere di vista. Spetterà poi sempre agli insegnanti e alle famiglie insegnare a dare ad un voto il giusto peso ed il giusto ruolo.

Perché sprecare il tempo a decidere se il voto va mantenuto o abolito? Perché invece non chiedersi, qual è il modo corretto di usarlo? Non vi ricordate di quando andavate a scuola? Quanti studiavano con vera passione? Forse il 20%. E il resto?

Il resto si divideva in altre due categorie: un 10-20% composto da quelli che proprio non studiavano, nemmeno a “metterli sui ceci”, e prima o poi venivano bocciati e andavano a dedicarsi ad altro; e poi il gruppo di maggioranza assoluta, circa il 60-70%, che non erano interessati a studiare per amore della conoscenza, ma perché stimolati od obbligati dalle aspettative della famiglia, dalla paura della bocciatura, o dalla considerazione che, tutto sommato, studiare conveniva. Studiavano di meno, rispetto a quel 20% che lo faceva per passione, ma qualcosa studiavano anche loro. E finivano per imparare qualcosa anche loro.

Sarebbe molto bello se tutti studiassero per passione e non per obbligo. Siccome questo non è possibile studiare per obbligo è sempre meglio che niente. Perché anche se si studia in maniera poco convinta, ma si studia, qualcosa si impara! Se venissero a cadere tutti gli stimoli in tal senso, perché non si danno più voti, e si viene promossi anche senza studiare nulla, dove si arriverebbe? Ai diplomifici! Il cui unico effetto, è quello di far perdere tempo a tutti quanti.

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