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Cina, la Germania ci fa affari: dov’è la notizia? Piuttosto, pensiamo all’Italia fanalino di coda

di Pietro Francesco Maria De Sarlo

All’improvviso con l’ultimo incontro fra Xi Jinping e Olaf Scholz scopriamo che la Germania ha rapporti commerciali con la Cina. Mah! Dov’è la notizia? C’è da chiedersi dove erano giornalisti e politici italiani nel corso degli ultimi 10 anni quando, dati Eurostat alla mano, la Germania ha incrementato i propri scambi con la Cina del 52,9% raggiungendo una quota pari al 5,3% del proprio Pil e l’Olanda li ha incrementati del 94,2% raggiungendo nel 2020 una quota del 13,4% del Pil.

L’Italia è fanalino di coda in Europa con un incremento medio del 2% nel decennio e un volume di scambi nel 2020 pari al 2,7% del Pil. Cosa vuol dire questo? Che noi non importiamo dalla Cina? Crediamo veramente che l’Olanda abbia bisogno di tutto quel commercio con la Cina? Quante sono le merci cinesi che ci arrivano dai porti olandesi? E quante come componenti di prodotti tedeschi comprate a quatto soldi e rivendute a multipli all’Italia? Solo il 15% delle merci che entrano ed escono dall’Europa passa dai porti del Mediterraneo, il resto ci entra dal sistema portuale del Nord Europa che ci lucra il 25% dei dazi europei.

Mentre i paesi nordici e frugali facevano business con i cinesi, per i politici e le anime candide del ceto intellettuale e del Pd parlare di Cina è stato come parlare del diavolo. Silenzio di tomba, anzi plauso quando Angela Merkel passava più tempo a Pechino che a Berlino: Sole 24 ore del 7 luglio 2014: “Merkel in Cina, dieci accordi commerciali in tre giorni”; Sole 24 ore del 14 giugno 2016: “Merkel chiude la visita in Cina con accordi commerciali per 15 miliardi di dollari e garanzie sull’acciaio”; Agi 15 marzo 2021: “La Cina rimpiangerà Angela Merkel”; La Repubblica 30 aprile 2012: “Germania, la Cina diventa l’ultimo land” – con occhiello: Con dinamismo ma soprattutto con l’appoggio determinante del Governo Merkel, i grandi gruppi tedeschi hanno sbaragliato tutti i concorrenti e si sono piazzati in prima fila nei programmi di sviluppo del Paese.

Però hanno strillato fortissimo quando il governo Conte cercò di vendere due cocomeri e un peperone in più in Cina. La Repubblica del 21 ottobre 2018: “L’Italia gialloverde è il Cavallo di Troia cinese per entrare in Europa” e l’occhiello Mentre l’Unione ha assunto una posizione rigida sulla Via della Seta – infrastruttura commerciale che Pechino ha disegnato badando ai suoi interessi – dal governo di Salvini e Di Maio arrivano grandi aperture. Roma potrebbe essere la prima capitale del G7 a firmare il memorandum sul progetto.

All’epoca forse essere europeisti significava che solo la Germania poteva fare business con la Cina?

Fossero stati solo i quotidiani il problema! Marzo 2006, Berlusconi: “Ho sempre detto che i comunisti mangiavano i bambini. Ma i cinesi di Mao facevano di più: li bollivano per concimare i campi. Una cosa orribile”. Ottobre 2010, il presidente Giorgio Napolitano va in visita ufficiale in Cina e viene strattonato dalla intellighenzia nostrana sui diritti civili. Ecco il titolo di La Repubblica: “Napolitano in Cina: Fondamentale il rafforzamento dei diritti umani”. La Repubblica del 22 marzo 2019, alla firma del memorandum: “Il presidente cinese Xi al Colle, i paletti di Mattarella: Più vicini, ma nel solco europeo”. E Mario Draghi? Eccolo al G7 del 13 giugno 2021. La Repubblica: “G7, Draghi: Tutti d’accordo, la Cina è un’autocrazia”. C’è da meravigliarsi se, come titola Affari Italiani del 2 settembre 2021: “Draghi lo cerca, Xi nicchia. Dal boom moda al caso droni: i nodi Italia-Cina”, occhiello: “Il premier aspetta da oltre due settimane che il presidente cinese alzi la cornetta sul G20”.

Non mi pare che, nonostante le intemerate di Draghi, Napolitano e Mattarella, oltre alle esternazioni di Berlusconi, si sia risolto il problema dei diritti civili in Cina; in compenso non abbiamo più una industria automobilistica, mentre la Germania ha un terzo dei propri affari nell’automotive in Cina e il suo Pil in 10 anni è cresciuto del 31% mentre in Italia del 3%.

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