Mondo

L’escalation dei droni armati nel Mediterraneo è una questione europea

di Giuseppe Varvaro

Attorno al cielo dell’Italia i droni armati arrivati a volteggiare al 2022 sono quelli di ben sei nazioni mediterranee: Francia (2019), Algeria (2018), Marocco (2021), Egitto (2016) Israele (2004) Turchia (2016). Questo significativo contesto di tecnologia M.a.l.e. (Medium Altitude Long Endurance) non è valutato nello Strategic Compass per la sicurezza e la difesa, approvato dal Consiglio Ue nel marzo 2022. Anzi per ricavarlo bisogna rifarsi al Report del maggio scorso dell’Ong Drone wars Uk.

Mentre per il genio alato l’Italia attende dal 2013 la coproduzione di Eurodroni, rinviata al 2027, altre 20 nazioni, oltre quelle già citate – tra cui Usa (2001), Uk (2007), Cina (2011), Iran (2014), Turchia (2016), Russia e Serbia (2020) e da ultimo Ucraina ed Etiopia (2021) – hanno simili droni già operativi.

Alle preoccupazioni di Amnesty International per i droni – veloci, silenziosi e invisibili – impiegati dal 2005 anche in falcidie extraterritoriali, extragiudiziali o sulle popolazioni civili in violazione del cosiddetto diritto umanitario internazionale (Ihl), si è di recente aggiunta quella di una commissione indipendente Onu, che documenta l’impiego in Libia (27/03/2021) di droni con intelligenza artificiale (Ia), divenuti pertanto sistemi di armi letali autonomi (Laws).

Nonostante ciò la proposta dell’aprile 2021 di regolamento Ue “Ia Act”, al considerando 12, illustra che la disciplina non troverà applicazione per i “sistemi di Ia sviluppati o utilizzati esclusivamente per scopi militari. Nel caso in cui tale uso rientri nell’ambito di competenza esclusiva della politica estera e di sicurezza comune disciplinata dal titolo V del trattato sull’Unione europea”.

Tra i progetti preliminari militari finanziati in passato con 600 milioni di euro dall’Ue (programmi Padr 2017/19 e Edidp 2019/20) – secondo il Report “Accendere le fiamme” del marzo 2022 – quelli rivolti all’impiego di Ia sono: Aides iMug, Lotus Peoneer, Privilege, Spinar.

La prospettiva Ue di investimenti per ricerca e sviluppo nella tecnologia dell’apparato militare industriale – in base al Provisional agreement reached on setting-up the European Defence Fund del dicembre 2020, che dota l’Edf di 7,9 miliardi di euro rispetto ai 13 inizialmente pronosticati nell’ambito del Qfp 2021/2027 – è di proseguire anche il progetto Eudaas, dedicato ai sensori non-cooperativi e ai droni M.a.l.e. Rpas.

Inoltre lo Sc 2022 prevede che “continueremo a cooperare in settori di interesse comune” con la Turchia, come se non fosse già nota la censura del Ploughshares special report del settembre 2020 circa il protrarsi dell’esportazione, dall’Ontario, di sensori Wescam montati su veicoli aerei turchi senza pilota (Uav) in spregio alla tutela Ihl riconosciuta dal Trattato di commercio delle armi, cui il Canada ha aderito nel 2019.

In un contesto così allarmante anche su dilemmi etico-giuridici (Ihl e Laws) il dibattito politico europeo non è stato fin qui dei più promettenti: nella patria dell’illuminismo, alla Commissione esteri del Senato francese si è denunciato come problema iniziale del progetto sull’Eurodrone l’obesità dei due motori che renderà il drone troppo pesante, troppo costoso e quindi difficile da esportare (v. Challenges del 2/7/19).

Come dare torto a Papa Francesco che in settembre ad Assisi ha definito eroe di oggi un 25enne ingegnere disoccupato, che ha respinto un’offerta di lavoro in un’industria che produce armi?

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