Società

Jova beach party, non capisco perché obiettare a ciò che è evidente

Ho letto qualche decina di commenti social al vetriolo sul Jova beach party e sulla musica che questo sempiterno ragazzo riesce sapientemente a rifilare (e a far canticchiare) a milioni di adolescenti e non. Ne sono ammirato e ancora non so se è l’arte del primo o la possibile scempiaggine dei secondi a creare questo per me misterioso fenomeno musicale e sociale.

Non sono un critico, non so se la sua è musica bella o meno, a me non piace ma non mi stupisco di tanto contemporaneo successo di massa. Dalle foto e qualche pezzo di video mi pare che nei suoi concerti si vesta ora da pirata, con una simbolica buttata lì a sproposito, e poi indumenti di ricercata trascuratezza, vagamente esotici, e berrettini canottiere mutandoni abiti tatuaggi bracciali anelli collane e altro di cui non percepisco altro che una melassa sconclusionata, un parapiglia di mise e posa anticonformista e fricchettona di cui ammetto di comprendere poco.

Però le ragioni degli ambientalisti sono sacrosante e non capisco perché il Jova voglia fare il casino che tanto adora fare sulle spiagge nazionali e perché obietti insultando a ciò che è evidente. Nessuno gli ha infatti chiesto di renderci “migliori” (sic) le spiagge del nostro mare e Cristina Coto ha cercato di spiegarglielo anche con qualche puntuale riferimento al business che ci sta dietro. Ma come molti di coloro che in Jovanotti non vedono nulla di più che un ragazzo molto sveglio e con uno spiccato senso per gli affari non ci avrei pensato più, sennonché non ti vedo per caso una sua dichiarazione del 2015 all’Università di Firenze di cui non sapevo.

Ad un certo punto il nostro, e con sorprendente sincerità di cui bisogna dargli atto, se ne esce con queste parole: “Mi è successa una cosa l’altr’anno: sono stato invitato a un summit segr… ehm, privato, molto esclusivo ed organizzato da un’azienda molto importante di Internet”. Oddio, di che si tratta? Ma di The Camp, summit organizzato dai fondatori di Google, Larry Page e Sergey Brin, che si svolge a cadenza annuale e nel 2014 e nel 2015 si è tenuto in Sicilia (Agrigento, Sciacca e Selinunte).

Jovanotti ricorda che “erano state invitate le 80 persone più importanti del pianeta per quanto riguarda il futuro”. Un “evento off the records”, ovvero a porte chiuse e blindatissimo: “La cosa interessante di questo incontro è che c’erano premi Nobel, Ceo, amministratori delegati di case farmaceutiche, tecnologiche, femministe, ma non c’era un politico. C’era il capo della banca mondiale”. Perché non ci sono i politici?, chiede ai presenti un sorpreso Jovanotti. Ma semplice, dai Jova, che lo chiedi a fare?!: “Perché non servono. Le cose non si decidono più a livello politico”. E gli spiegano che “la politica amministra questa situazione, ma le decisioni non le prende più la politica”. Ovvio, no?

A 7 anni da quelle dichiarazioni, che non sia la politica a decidere ma, zitta e buona, ad amministrare soltanto qualche sospetto lo avevo. Però vorrei modestamente cercare di suggerire una possibile e sintetica ragione per cui il Jova, che si definisce “personaggio della cultura popolare avanzata” in Italia, si ritrova nel 2015 a dialogare e brindare con le 80 “persone più importanti del pianeta” tra cui, suppongo, un bel po’ di tecnocrati.

Ne L’uomo a una dimensione, Marcuse narra di un uomo della società industriale avanzata standardizzato e omologato in base alle esigenze del sistema economico e sociale. Questo sistema si presenta come totalitario senza esserlo esplicitamente, ma stabilendo di fatto una sorta di amministrazione totale dell’esistenza che è ridotta a una sola dimensione. Una dimensione dentro la quale si determinano e orientano “scientificamente” anche i bisogni e le aspirazioni umane. Quest’unica dimensione dove vengono incanalati l’esistenza, i desideri e le necessità degli uomini è quella del consumo e credo si sappia quanto la colonizzazione dell’immaginario sia determinante affinché prenda forma un pensiero (depensante) positivo, mansueto, acritico, flessibile e molto seducibile e funzionale all’attuale e imperante politica economico-finanziaria. In altri termini, rincoglionire la massa con i tipici prodotti culturali del divertissement è un buon investimento.

Che Jovanotti sia stato invitato per offrire il suo inconsapevole (o meno) contributo alla causa? La domanda è retorica, perché il perspicace Jova aveva a suo tempo già sgamato tutto e tutti cantando “è il tecnocrate di turno quello che ci fotte”. Già, tutto però sta a capire chi fotte.