Politica

Carlo Calenda, da “non capisco niente di politica” ad “andremo da soli” fino all’accordo elettorale con Enrico Letta. Il videoblob

Fa, disfa, bacchetta, deride le “frattaglie di sinistra e di centro”, disdegna i grillini e i contiani, retwitta istericamente, manda a quel paese, lancia il sasso, si rimangia la parola: per chi è un habitué dei social, Carlo Calenda è ormai uno di famiglia per tutte le incontinenze “twitterine” che sparge dal suo podio virtuale e che si leggono quasi con rassegnato affetto.
Le stridenti contraddizioni che caratterizzano questo politico un po’ caciarone, tra l’altro dedito all’attività social 20 ore al giorno, si sono palesate in tutta la loro evidenza nella trafelata genesi del suo accordo elettorale col Pd di Letta, patto che per settimane aveva abiurato, giurando e spergiurando sulla terzietà di Azione e di +Europa rispetto agli altri due poli, quello della destra sovranista e quello del centrosinistra.

In questo videoblob abbiamo raccolto diversi stralci dei proclami di Calenda, a partire dal lontano 18 dicembre 2015, dove, ospite della sesta edizione della Leopolda renziana, rinnegò Scelta Civica e fece una lode sperticata dell’evento organizzato da Matteo Renzi: “Io non vengo dalla politica. Anzi, come ho detto qualche volta a Matteo, avendo io co-fondato Scelta Civica, si sa per certo che io di politica non capisco niente. Ma so che la Leopolda può essere il posto in cui tutte le complessità si leggono in modi diversi, certe volte opposti, e si ragiona su quello che può essere il ruolo del nostro Paese. Ed è una cosa straordinariamente bella“.

Dopo sei anni e mezzo, il 22 novembre del 2021, il fondatore di Azione cambierà idea. Ospite di Myrta Merlino nella trasmissione “L’aria che tira”, sbotterà sull’amico Matteo Renzi (che tre mesi dopo definirà ‘il miglior presidente del Consiglio dai tempi di Alcide De Gasperi’) e proprio sulla Leopolda renziana tuonerà: “Ma chi se ne frega della Leopolda. È un gruppo di persone che si incontrano una volta all’anno e che se la suonano e se la cantano, dicendo che sono i più bravi, i più fighi, i più simpatici. È un gruppo di persone che parlano solo di quello che dice il loro leader. Ma chi se ne frega di quello che dice il loro leader”.
Poi la stroncatura del leader di Italia Viva: “Di Renzi e del suo grande ‘centro’ non me ne frega nulla. Io mi sono rotto. Questo Paese è ridotto a pezzi, ha il minor numero di laureati in Europa e stiamo a parlare di cosa dice Renzi alla Leopolda? Ma chi se ne frega. Oggi, tra l’altro, lui è a Dubai a fare una conferenza pagata. Renzi non è mai all’ascolto perché non gliene può frega’ de meno di ascoltare. Del resto, siamo in un Paese che continua a dargli uno spazio mediatico spropositato. E lui va a guadagnarsi soldi in Arabia Saudita mentre è pagato dagli italiani. Renzi vada in Arabia Saudita e faccia il suo centro con Toti, Brugnaro, suo zio, suo cugino, suo papà“.

Neppure 8 mesi dopo, in occasione della conferenza stampa per l’annuncio dell’ingresso di Mariastella Gelmini e di Mara Carfagna in Azione, Calenda svela le sue fitte trattative, poi fallite, con il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti: “Le porte continuano a essere spalancate per lui. Io credo di aver visto Toti negli ultimi tempi più di mia moglie“.
Eppure, il 20 maggio del 2021 a Rainews fu lapidario: “Non vogliamo un fritto misto di centro con pezzi di un partito e pezzi dell’altro. Non so se il centro guarda a destra o a sinistra. Mara Carfagna leader? Non lo so e non so che senso abbia, non c’entra niente con quello che stiamo facendo noi. Significherebbe mettere insieme tante debolezze”.

I mesi di giugno e di luglio di quest’anno sono interamente monopolizzati dal motto calendiano del “noi siamo quelli del riformismo pragmatico”. Il 14 giugno, ospite di SkyTg24, definirà “sbagliata” la strada perseguita da Enrico Letta, cioè quella di un campo largo con Conte, e farà addirittura una profezia su Matteo Renzi: “Io credo che esistano le chiacchiere e che esistano i fatti. Con Renzi in particolare, ma anche in generale, vale quello che tu fai e non quello che proclami. Per questo motivo, ritengo che Renzi farà un accordo col Pd, otterrà qualche collegio e non farà parte di quest’area (riformista, ndr)”.
Nella stessa giornata, Calenda, completamente immerso nelle vesti di chiromante, preconizzerà: “Alle elezioni ci saranno tre poli. Azione e +Europa farà un polo con le liste civiche. Sarà un polo liberal-democratico, pragmatico, nello spirito con cui Mario Draghi fa le cose. Cioè di buon senso e non di conflitto ideologico”.

Spauracchio indiscusso del leader di Azione è Luigi Di Maio. “Ora cerca di far dimenticare i disastri che ha fatto – commenta Calenda in un video postato sui suoi social il 24 giugno – Di Maio in un Paese normale sarebbe preso a pernacchie e finirebbe lì. Ma il problema non è solo lui. È che gli vanno appresso. Gli va appresso Enrico Letta che dice: ‘La nostra funzione è quella di fare il magnete‘. Ma di chi? Di Conte e di Di Maio? Rottami. Che progetto politico è? Ormai la coerenza è andata a farsi benedire“.
E annuncia per l’ennesima volta: “Penso che sia un dovere, e non certo per superbia ma per responsabilità, cercare un’altra strada. E non è una strada che mette insieme frattaglie, anche perché vedrete che queste frattaglie, questi ipotetici centri useranno queste piccole operazioni per contrattare un posto a destra o a sinistra. Noi invece dobbiamo fare gli adulti nella politica. E lo faremo – continua – con Emma Bonino, con Richetti, con Della Vedova, cioè con tutte quelle persone che scelgono una strada più complicata, quella di presentarsi da soli. Ecco, questa è l’unica strada per cui vale la pena fare politica. Quello che sta accadendo intorno è disdicevole. Lasciateci fuori, non ci interessa“.
Il 5 luglio Calenda ribadisce ai giornalisti: “Che loro facessero le loro cose, noi facciamo le nostre. Io perché mi devo alleare con Di Maio? È un disastro umano, perché lo devo fare?“.

Venti giorni dopo il politico addirittura disconoscerà l’ex pentastellato (“Di Maio? Non so chi sia”) e pronuncerà la sua fatwa contro Fratoianni e Bonelli, con la solita frecciata a Enrico Letta: “Stanno dicendo che l’agenda Conte era meglio dell’agenda Draghi. Ma questi sono fatti che riguardano il Pd, non riguardano noi”.
Il giorno successivo, accantonata la sindrome di Calimero, si proporrà come sostituto di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio: “Se Draghi domani dice che non è disponibile per un qualsiasi motivo, spread o altro macello, bene, allora mi candiderò io“.

Alla fine, è andata come sappiamo: patto elettorale con Letta, nuovi sberleffi all’indirizzo di Fratoianni e Bonelli, soliti ultimatum su Di Maio, critiche al vetriolo a Matteo Renzi.
Purtroppo, però, l’alba luminosa della Nuova Era calendiana-lettiana non è stata esattamente accolta come una palingenesi, almeno a giudicare dagli strali che all’unisono vengono tuttora lanciati su twitter contro il fondatore di Azione da grillini, simpatizzanti di sinistra, renziani e presunti elettori calendiani.