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Niente soldi a pioggia, i prossimi fondi solo sulla base dei progetti: la svolta che può mettere fine ai buchi neri dello sport italiano

I prossimi contributi dallo Stato alle Federazioni - circa 80 milioni extra - dovranno essere giustificati e rendicontati: a breve “Sport e Salute” pubblicherà 5 bandi ad hoc. E' il cambio di prospettiva che staccherebbe la spina a un sistema finora troppo discrezionale, utile ad alimentare autentici carrozzoni. Ma la vera battaglia sarà in autunno, quando ci sarà da distribuire la ricca torta dei finanziamenti per il 2023, che ammonteranno a 263 milioni di euro

Presidenti spendaccioni, Federazioni sportive come buchi neri di fondi pubblici, la cuccagna (forse) è finita: i prossimi contributi dallo Stato dovranno essere giustificati, e rendicontati. Circa 80 milioni di euro “extra” rispetto ai finanziamenti annuali, che però il governo e la sua società “Sport e Salute” hanno deciso di distribuire sulla base di progetti precisi, non più “a pioggia” come in passato.

Parliamo per la precisione di 82 milioni per il finanziamento degli organismi sportivi per la promozione dell’attività sportiva di base, ricavati da economie di vari fondi inutilizzati del Dipartimento Sport. Un “una tantum”, insomma, con la speranza di ripeterla in futuro, dimostrando al governo che vale la pena investire sullo sport. Uno degli ultimi atti del governo Draghi, visto che la firma del Dpcm è arrivata giusto prima della crisi.

Stavolta, il tesoretto sarà suddiviso sulla base di specifici progetti. A breve “Sport e Salute” pubblicherà 5 bandi: il 35% (28 milioni) sarà destinato a programmi rivolti a bambini e settori giovanili; il 30% (24 milioni) alle scuole; il 28% (22 milioni) a over 65, ceti fragili e immigrati; il 5% (4 milioni) alle attività motorie di base come nuoto e ginnastica; il 2% (1,5 milioni) alla formazione di gestori e operatori; più altri 6 milioni per la preparazione di Sport invernali (Fisi) e Sport del ghiaccio (Fisg), in vista dei Giochi di casa a Milano-Cortina nel 2026. L’obiettivo è finanziare l’attività di base sul territorio, rivitalizzare le palestre scolastiche, ridurre la sedentarietà e l’obesità nelle fasce più a rischio, come giovanissimi e anziani. L’impressione è che inevitabilmente saranno favorite le Federazioni più grandi, quelle che possono muovere una mole maggiore di appassionati e sono anche più attrezzate a gestire determinati progetti. Ma tutti avranno una possibilità.

Al di là dei tecnicismi che interessano soprattutto agli addetti ai lavori, ciò che conta è il cambio di prospettiva per il mondo dello sport italiano. Fino ad oggi, i contributi pubblici erano sempre stati distribuiti e soprattutto utilizzati in maniera troppo discrezionale, giocando sul grande equivoco della natura giuridica delle Federazioni: organismi che hanno una funzione pubblica, e godono (in alcuni casi proprio vivono) di finanziamenti pubblici, però sono e si comportano come privati grazie alla discussa legge che li ha riconosciuti come tali tanti anni fa. Risultato: dei circa 400 milioni che ogni anno lo Stato riconosce al mondo dello sport, almeno un terzo non finisce sul movimento ma va ad alimentare autentici carrozzoni, che si offendono pure quando qualcuno si azzarda a domandargli cosa ci fanno.

Ed è quello che è successo anche negli ultimi giorni, quando si è scatenata la solita rivolta, guidata proprio da Malagò: “Vincoleranno ogni euro che vi danno a un’attività. Se siete soggetti privati, questo non esiste al mondo. Date dei segnali, urlatelo”, ha detto il n. 1 del Coni, quasi “sobillando” i presidenti. Ma è proprio il contrario: “autonomia dello sport”, che è sacra, non significa arrogarsi il diritto di spendere soldi pubblici senza darne conto praticamente a nessuno. Cominciare a fare le pulci ai conti di Federazioni e enti è esattamente ciò che una riforma governativa dovrebbe fare.

Infatti la vera battaglia sarà in autunno, quando ci sarà da distribuire la ricca torta dei finanziamenti per il 2023, che ammonteranno a 263 milioni di euro. “Sport e Salute” in fondo era nata anche per questo, per togliere il boccino dalle mani del presidente del Coni, che da una parte assegnava i fondi alle Federazioni e dall’altra dalle Federazioni si faceva eleggere, ma fin qui i risultati sono stati deludenti. Nel 2019, la prima tornata gestita dall’allora amministratore Rocco Sabelli fu calibrata per non scontentare nessuno. Poi è arrivato il Covid e stravolgere gli equilibri in una situazione già precaria proprio non si poteva. Adesso i tempi sono maturi per una svolta reale: cambiare i criteri, pretendere trasparenza, premiare chi investe sul movimento e non aver paura di penalizzare chi invece alimenta solo se stesso. Se “Sport e Salute” avrà il coraggio di farlo, si potrà dire che la riforma sarà servita a qualcosa. Altrimenti, come spesso succede in Italia, sarà cambiato tutto per non cambiare quasi nulla.

Twitter: @lVendemiale