Calcio

Italia fuori dai Mondiali? Basta normalizzare il trauma: tutti al loro posto, nessun responsabile. E il disastro finisce a tarallucci e vino

FATTO FOOTBALL CLUB - La classica farsa all’italiana: nel Paese in cui le vittorie hanno moltissimi padri e le sconfitte sono sempre orfane, dove dopo il casuale e rocambolesco trionfo agli Europei si faceva a gara a salire sul carro, intestarsi la coppa ben al di là dei propri meriti, per la seconda mancata qualificazione ai Mondiali di fila, un’autentica apocalisse nazionale, non paga nessuno

La più grande umiliazione nella storia del nostro calcio finisce a tarallucci e vino: resta il presidente Gabriele Gravina, il responsabile politico della mancata qualificazione, che non è mai stato neppure sfiorato dall’opportunità di dimettersi. Resta a quanto pare pure il ct Roberto Mancini, il colpevole tecnico della disfatta con la Macedonia del Nord, che un briciolo di orgoglio sembrava averlo, intenzionato almeno a valutare il passo indietro, e invece niente, ha cambiato idea anche lui. “Ho parlato con il presidente Gravina, siamo allineati su tutto”, spiega. Cioè tenersi la poltrona. Insomma, la classica farsa all’italiana: nel Paese in cui le vittorie hanno moltissimi padri e le sconfitte sono sempre orfane, dove dopo il casuale e rocambolesco trionfo agli Europei si faceva a gara a salire sul carro, intestarsi la coppa ben al di là dei propri meriti, per la seconda mancata qualificazione ai Mondiali di fila, un’autentica apocalisse nazionale, non paga nessuno.

Sul presidente Gravina era inutile farsi illusioni: erano mesi che metteva le mani avanti, annunciando urbi et orbi che non si sarebbe dimesso. È stato di parola. Adesso si accoda Mancini, con quello che assomiglia tanto a un annuncio ufficiale nella conferenza stampa alla vigilia della partita della vergogna contro la Turchia: “Mi sento di restare perché sono ancora giovane. Mi piace questo lavoro e coi ragazzi voglio riorganizzare qualcosa di importante. A parte la delusione, il resto va avanti”. La sconfitta con la Macedonia sembrava che potesse essere la sua ultima volta in azzurro, si parlava già di Cannavaro come sostituto, ma anche qui, perché sorprendersi: le motivazioni contano, i contratti anche di più. Mancini ha uno stipendio di circa 4 milioni di euro l’anno fino al 2026, e un tenore di vita invidiabile (4-5 finestre di impegni l’anno, per il resto partite in tribuna e salotti romani), che nessun altro club gli garantirebbe in questo momento, con le sue quotazioni polverizzate dalla figuraccia mondiale. Perché rinunciarci, tanto più che nessuno glielo chiede.

Eppure in una situazione del genere, le dimissioni sarebbero state un passo obbligato. Non per una sorta di esecuzione sommaria, un repulisti a prescindere che non fa bene al movimento. I mali del calcio italiano non sono certo colpa di Mancini (che anzi nei suoi primi tre anni ha letteralmente ricostruito la nazionale dalle macerie) e nemmeno di Gravina, che li ha ereditati, al massimo partecipandovi. Però non è nemmeno possibile che ai posti di comando nessuno si senta responsabile e si prenda le responsabilità di quella che non è una semplice sconfitta, è una disfatta storica. Con quali energie e fiducia potrà ripartire Mancini? Con quale forza e credibilità potrà governare Gravina, che già prima stentava con le riforme (per colpe non solo sue ma dei troppi veti incrociati), figuriamoci ora che tutti, nemici ed amici, controparti e istituzioni, alla prima occasione potranno rinfacciargli la figuraccia mondiale? Era giusto attendersi un gesto, anche solo di facciata, rimettere il mandato anche solo per farsi riconfermare, assumendosi le proprie colpe, i cambi e le convocazioni sbagliate, le politiche inconsistenti. Invece si va avanti comunque: qualche altro giorno, e sarà come se nulla fosse mai successo.

Se questo accadrà, è anche perché l’evento non sta ricevendo l’attenzione che merita: un paio di titoloni in prima pagina il giorno dopo l’eliminazione, poi trafiletti, si torna già a parlare di mercato e campionato. Il paragone con quattro anni fa è imbarazzante. Provate a riaprire i giornali del novembre 2017: un profluvio di dichiarazioni, uomini di sport e di politica, Renzi, Lotti, Malagò, Salvini, Cairo, Grillo, Berlusconi. Oggi non parla nessuno. È la dimostrazione di quanto serva godere di buona stampa, intesa in senso lato come opinione pubblica. Ventura era un mostro, un idiota, un nemico del popolo, ancora oggi il suo nome non può essere nominato senza insulti d’ogni tipo. Mancini è quasi una vittima, fa filtrare sulla stampa la sua disponibilità a rimanere, e sembra stia facendo un favore al Paese. Sull’impresentabile Tavecchio si scatenò un autentico tiro al piccione, eppure politicamente non aveva fatto né più né meno di Gravina. Oggi a parte rare eccezioni non si è levata una sola voce a richiamare alle sue responsabilità politiche il presidente, che parla bene, si presenta meglio e tesse rapporti come pochi. Complici o semplicemente rassegnati, è quello che ci meritiamo: un’Italia che non va ai Mondiali non fa nemmeno più notizia.

Twitter: @lVendemiale