Economia & Lobby

L’inflazione sale, i salari no: chi lavora non può essere umiliato così

di Antonio Pollicino

Secondo gli ultimi rilevamenti dell’Istat la crescita dell’inflazione su base annua si spinge al 5,7%, ad un livello che non si registrava dal lontano 1995, quando ancora circolava il vecchio conio.
Sembra che il costo energetico incida parecchio, in particolare per i beni non regolamentati (carburante per autoveicoli, lubrificanti, combustibili industriali…) al +45,9%, ma anche per quelli regolamentati (gas, elettricità domestica…) che rispetto a febbraio 2021 registrano un +94.4%. Stranamente costa tutto più caro, anche i beni di prima necessità, dove gli alimentari registrano aumenti fino al 6.9%, per la cura della persona +4.2%, e prodotti ad alta frequenza di acquisto +5.4%.

È l’economia di guerra, dice qualcuno. E cosa significa questo nella vita di tutti i giorni lo comprendiamo benissimo quando i soldi per pagare non bastano, e bisogna attingere ai risparmi.

C’è da dire che lo scorso anno, nel periodo del lockdown, i prezzi si erano calmati, forse in apparenza. E’ bastato riaprire i cancelli che subito l’inflazione ha ripreso a galoppare, e di conseguenza anche i valori di crescita generali. Dunque è facile comprendere che, quando la gente riesce a spendere e comprare beni, l’economia respira e registra numeri positivi.

Tuttavia, tra tutti gli aumenti che notiamo giornalmente, ne manca uno, forse il più importante: l’aumento dei salari. Quelli sono in diminuzione almeno da 30 anni, quando è stato tolto l’adeguamento salariale all’inflazione, la famosa scala mobile, nel 1992. Nel frattempo il costo della vita è cresciuto ad un ritmo costante di oltre il 2,5% annuo, ed eccoci qui a piangere sul fatto che oltre 5.6 milioni di persone si trovano oggi in povertà assoluta.

Il 7.5% delle famiglie non riesce a fare le spese di prima necessità e si affida alla solidarietà e agli aiuti di Stato. Poi abbiamo l’esercito dei lavoratori temporanei, dei somministrati, i supplenti, i famosi precari che rappresentano circa il 75% della forza lavoro. Gente che ”lavora” per pagare le spese necessarie, e che quando scade il contratto di lavoro si trova nei guai.

Ovviamente con questi numeri la ripresa economica non potrà mai essere sostenibile, e ci troveremo a passare da un’emergenza ad un’altra, sempre lì a chiedere la paghetta a qualcuno che ci possa aiutare a sopravvivere. Prendiamo ad esempio i precari della P.A. costretti a sopravvivere con 400€ al mese. Se hai un auto, e devi andare in officina, solo di manodopera ti chiedono 60€/h. Ma stessa storia per professionisti quali idraulico, elettricista, imbianchino, per non parlare dei professionisti della salute.

In Italia serve un sostegno al reddito, perché chi lavora non può essere umiliato a tal punto. Oppure adeguiamo le tariffe dei lavoratori subordinati a quelli che sono i prezzi del mercato. Non credo che, se un meccanico ti costa 50€/h, allora è più qualificato di un professore precario che ne guadagna 20.

Negli ultimi decenni in Italia le professioni più pagate sembra siano quelle vicine alla politica, per la quale il Calenda di turno che guadagna i suoi 56€/h si può permettere di trattare un salario minimo a 7€/h. La disparità è un abisso! Dunque anche in periodo di guerra è il momento giusto per rivalutare questa disuguaglianza, che facendo una breve analogia è il terreno fertile per le oligarchie, come quelle che oggi violano il diritto della gente solo per una personale sete di potere. La democrazia è libertà, pluralità e possibilità di sviluppo e benessere per tutti quelli capaci a darsi da fare.

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