Diritti

Maria pesa 39 kg, Lisa “rifiuta di guarire”. Le storie di chi soffre di disturbi alimentari e la quotidianità di noi terapeuti

Oggi, 15 marzo, è la giornata nazionale dedicata alla sensibilizzazione sui disturbi del comportamento alimentare. Quest’anno tale momento riveste un’importanza particolare poiché, dopo due anni di pandemia, i professionisti che se ne occupano hanno dovuto impattare un aumento dei dca che va ben oltre il 40 per cento della normale casistica. Molto si è parlato della recrudescenza, nonché dello scatenamento ex novo, di patologie legate alla psiche durante il periodo di isolamento imposto collettivamente dalla pandemia.

Slatentizzare, acuire, spogliare ed aggravare sono le giuste parole che danno la cifra di questo tempo, clinicamente parlando. Fenomeni preesistenti che senza questo lungo momento di rarefazione dei contatti avrebbero mantenuto i soggetti in uno stato di rodata compensazione. Depressioni, attacchi di panico, disturbi dell’umore, tendenze suicidarie e, su tutti, i disturbi della sfera alimentare. Me ne sono occupato più volte (rimando qui e qui), cercando di portare al lettore una prospettiva il più possibile semplificata di concetti quali diagnosi differenziale e trattamento.

Proverò ora, condensando le esperienze di tre equipe dislocate in tre città differenti, a mostrare la quotidianità del trattamento multidisciplinare dei dca. Partiamo da un assunto: la multidisciplinarietà dell’intervento è oggi un punto oggi imprescindibile. Nella maggioranza dei casi la prima richiesta d’aiuto, che non necessariamente contiene una domanda di cura, viene portata al medico di famiglia, il quale deve possedere strumenti ben tarati ed affinati per valutare l’effettiva presenza e l’entità di una problematica alimentare. In questa prospettiva la presenza del nutrizionista è d’obbligo in quanto è a questa figura che si chiede e si demanda una valutazione dei parametri corporei del soggetto che chiede aiuto.

La presenza dello psicoterapeuta è parallela, ma sta a latere. Il suo compito è quello di garantire un percorso di soggettivazione e riabilitazione libero da parametri medici e nozioni di ordine nutrizionale. Un cammino che sappia fare a meno delle questioni ponderali, che il soggetto sa essere affrontate e trattate in separata sede. I professionisti che lavorano in équipe sanno che a volte è talmente flebile la richiesta di aiuto, che un tempo troppo lungo che intercorra tra la richiesta formulata al medico di base e l’appuntamento dal professionista, può essere percepito come disinteresse, facendo cadere la tensione del soggetto, portandolo a ricadere nel godimento del proprio sintomo.

Vi racconto qualcuno dei casi con cui lavoriamo.

Maria ci viene inviata da una collega per un consulto dopo essere scesa sotto la soglia dei 39 chilogrammi. Da sempre assidua frequentatrice di palestre e cultrice del fitness, viene licenziata non appena la ditta subisce le restrizioni imposte dal governo. Il suo fisico è logorato e stremato, i lineamenti perdono espressività, le gambe sono talmente assottigliate che a fatica riesce a fare le scale che portano allo studio senza utilizzare un appoggio.

Su queste premesse, in stridente contrasto con un adeguato esame di realtà, iniziano i colloqui. In questo ultimo periodo di solitudine forzata, disoccupata e chiusa in casa, una nefasta figura di sedicente personal trainer si è inserita profittando della chiusura della palestre, propinando da remoto i suoi programmi di dimagrimento personalizzati nonché rigide tabelle di allenamento. L’impatto del licenziamento ha scaraventato questa donna fragile in una situazione di isolamento e rarefazione dei contatti tale da riprodurre, in casa, una delle modalità che noi sappiamo essere foriere di caduta nell’anoressia: allenamenti spossanti e massacranti che, in un biennio, hanno portato Maria vicino alla soglia dell’inedia.

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Emma stava per laurearsi quando sull’Italia si è abbattuta la tempesta pandemica. Un soggetto con chiari tratti ossessivi, dedito al controllo delle variabili della vita, quasi totalmente chiusa ai rapporti sociali, fatta eccezione per i colleghi di studio e un paio di amici che, provenendo dall’infanzia, hanno retto nel tempo. Mancando l’appuntamento con la laurea e col mondo del lavoro, Emma è stata risucchiata in un inferno fatto di controllo delle calorie, rituali, ossessione per la bilancia che hanno ben presto preso il sopravvento.

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Francesco è un ragazzino, che vedo in studio quando sta per dare l’addio alla vita, chiuso in una spirale che ha condotto lui e la famiglia sull’orlo del baratro. In questo lungo periodo ha abusato di sostanze dopanti per costruire un corpo massiccio dopo aver ricavato in casa una palestra amatoriale dentro la quale ha passato gli ultimi nove mesi, riducendo vieppiù i contatti col mondo per poi chiuderli definitivamente.

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Lisa, durante il lockdown ha iniziato un dimagrimento che l’ha portata al di sotto dei 40 kg. Il medico la invia presso il nostro studio con una nota: “la ragazza rifiuta le cure. È refrattaria all’idea di guarire”. Prima della pandemia era uscita dalla casa dei genitori con un fidanzato, visto il clima insostenibile. Lui se ne andò circa un anno dopo, provocandole un crollo di una certa entità, che vede l’acuirsi della sua magrezza. Non volle fare ritorno a casa e, con un lavoretto trovato in poco tempo, iniziò a pagarsi un affitto. Con l’imposizione della chiusura dell’attività nella quale prestava la sua opera, perde lo stipendio trovandosi costretta a tornare in quella casa dalla quale ha cercato di emanciparsi. “Il Covid mi ha riportato là dentro, dove tutto è iniziato“. Due anni in un luogo nel quale non voleva più stare l’hanno portata a mangiare e vomitare perdendo quasi 25 chilogrammi.

Fiorella ha perso 12 kg nel corso della chiusura. La famiglia è crollata. Preda di crisi auto colpevolizzanti e reciproche accuse, non si capacita di come la loro figlia tanto amata sia potuta scivolare nel baratro. Questi genitori hanno conosciuto una profonda crisi, venendo letteralmente fagocitati dalla malattia della figlia deflagrata nel periodo di chiusura. Come loro tanti sono i nuclei familiari che, a causa dell’insorgenza di un dca, hanno visto tremare le loro fondamenta, avvitandosi in una crisi che, in molti casi, ha portato alla dissoluzione dei legami.

Ovviamente i nomi sopracitati sono inventati, e i dati sensibili modificati e resi irriconoscibili al fine di poterli pubblicare. Ma questa che ho cercato di descrivere è la quotidianità per i tanti professionisti che si occupano di anoressie, bulimie, binge eating disorder, ortoressie in questi due lunghi anni.