Mafie

‘Una femmina’, il film sulle donne contro la ‘ndrangheta ci ricorda che ‘non meritiamo tanta bellezza’

L’attore Mario Russo, in una delle scene più toccanti del film Una femmina, regia di Francesco Costabile, pronuncia una frase che mi porto dentro: “Non meritiamo tanta bellezza”. Da qualche giorno il film è presente nelle sale cinematografiche, ho avuto la fortuna di poterlo vedere durante la prima uscita a Cosenza assieme al regista, attori e co-produttori.

Ispirato al libro di Lirio Abbate Fimmine ribelli. Come le donne salveranno il paese dalla ‘ndrangheta, questo film ha saputo sintetizzare nella storia interpretata dalla protagonista Lina Siciliano – bravissima al suo debutto cinematografico – la vita di tante donne calabresi. Alcune di esse proprio perché ribelli sono state travolte da una violenza inaudita, davvero disumana, messa in atto da cosiddetti uomini d’onore senza scrupoli che pensano che il loro “codice” li abiliti ad oggettivizzare tutto e tutti. Strumentalizzare soprattutto le donne, fino a quando servono ai loro deplorevoli scopi.

È capitato a tante di loro: Rossella Casini di cui oggi ricordiamo il compleanno a distanza di 41 anni da quel barbaro omicidio, stuprata, fatta a pezzi e gettata in pasto ai pesci nella tonnara di Palmi. Nello sguardo serio e penetrante dell’attrice protagonista, ho potuto rivedere le vite spezzate, oltre che di Maria Concetta Cacciola, di Tita Buccafusca, Maria Chindamo, Angela Costantino, Annunziata Pesce, Lea Garofalo. Pezzi di storie che compongono un universo complesso, quello ‘ndranghetista, difficile da comprendere perché mentre sa restare ancorato al territorio e a vecchie regole fondate su rituali arcaici – le cui solide fondamenta sono omertà, onore e sangue – contestualmente sa adattarsi al mondo che cambia infiltrando l’economia – non solo in Italia, ma anche in molti Paesi europei ed extra-europei – di denaro sporco attraverso diversi strumenti: corruzione, prestanome, investimenti finanziari, attività commerciali di ogni genere.

Le donne ricordate sopra che hanno voluto distaccarsi da questo ambiente segnato da odi, faide, violenze e menzogne di ogni genere, pur di salvaguardare i propri tornaconti hanno dovuto sopportare che le loro abitazioni si trasformassero in celle infernali e asfissianti. Una violenza psicologica e fisica inaudita!

È importante raccontare queste storie non solo attraverso i libri ma anche con l’arte del teatro e del cinema, perché ci svelano un mondo fatto di violenza, certo, ma anche di tanto coraggio. Sono profondamente grato al regista di origini calabresi, perché attraverso la frase ricordata sopra mi ha dato conferma di un un’idea che da tempo ho maturato: molti abitanti di questa splendida terra non meritano di vivere immersi in tanta bellezza. Lo ripeto spesso ai tanti giovani che incontro: gli ‘ndranghetisti, assieme ai collusi e corrotti di ieri e di oggi, sono stupratori del bello!

Il film ci racconta la bellezza del coraggio che sorge dall’amore profondo, viscerale, come solo una donna, una madre, sa provare. Che vince la paura dell’orco di turno, sempre pronto a sbranarti con la sua logica della sopraffazione. Sono certo che “la bellezza salverà il mondo”, come scriveva il genio intramontano e intramontabile di Dostoevskij. Peppino Impastato diceva che essa ci salverà da tre mali endemici della nostra società:

1. dalla rassegnazione. Noi calabresi ci esprimiamo spesso con una frase in dialetto che ne è la perfetta sintesi: “chi ci putimu fa”. Rassegnati al triste destino di vedere calpestare e stuprare questa terra, impedirle di esprimere le sue enormi risorse da uomini senza scrupoli perché senza cuore. Pensare che non si possa fare nulla, non si possa agire per cambiare le cose, significa rinunciare a combattere, vivere nell’indifferenza che come ci ricordava A. Gramsci “opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costrutti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza”;

2. dalla paura. Lo scrittore australiano Gregory David Roberts scrive che essa è “l’emozione più difficile da gestire. Il dolore si piange, la rabbia si urla, ma la paura si aggrappa silenziosamente al cuore”. Ci impedisce quindi di amare, di sognare una terra e un mondo diversi;

3. dall’omertà. Il silenzio, a volte vile e ingiustificato di molti, ha contribuito ad erigere “la statua invisibile dell’omertà” che, soprattutto alle nostre latitudini campeggia indisturbata. Invisibile, certo, ma potente, capace di impedire che il percorso della verità “del diritto e della giustizia scorra come un fiume possente” (M. L. King).

Grazie anche al coraggio di tante donne che scelgono di entrare nel progetto “Liberi di scegliere”, questa immobile, potente e invisibile statua dell’omertà è stata infiltrata e presto, sono certo, crollerà, facendo emerge ancora di più la melma degli intrecci politico-masso-mafiosi. Infine, ancora un pensiero grato al regista e ai co-produttori che hanno voluto con coraggio che questa storia abitasse le sale cinematografiche. L’arte, in tutte le sue espressioni, come manifestazione del bello, del vero e del buono, con il loro misterioso intreccio (convertuntur) è un continuo stimolo a rialzarci dalle nostre miserie.