Politica

‘Un lavoro lo trovo da solo’. A sentire le parole di Draghi, penso alla volpe e l’uva

di Pietro Francesco Maria De Sarlo

A chi non è mai capitato di avere un amico o un collega rosicone? Il rosicone è quello che rosica, che prova invidia, rabbia, rancore, e impotenza soprattutto. Chi rosica è chi, a torto o ragione, si sente vittima di un trattamento ingiustificato e non meritato. Ricordate il collega che non ha avuto la promozione? Quello che facendo spallucce ha detto: tanto sono ricco di famiglia? Oppure quello escluso dal gruppo in gita che dice: ci vado con la macchina di papà?

Il rosicone più famoso è la volpe della favola di Esopo: “L’uva? Quale uva? E chi la voleva? Era acerba”. Invece il rosicone più poetico di sempre è stati il Paolo Stoppa di Miracolo a Milano che, non riuscendo a inserirsi nel gruppo dei poveretti che si spostavano infreddoliti per inseguire il calore di un raggio di sole che spuntava tra la nebbia, dice con stizza: “Tanto io ho la maglia di lana”.

La caratteristica principale del rosicone è quella di sbattere in faccia a chi lo ha maltrattato la sua vera o presunta superiorità.

A questo gruppone si è aggiunto ieri di diritto il premier Mario Draghi: “Ho visto che tanti politici mi candidano a tanti posti in giro per il mondo mostrando una sollecitudine straordinaria ma vorrei rassicurarli che se decidessi per caso di lavorare dopo quest’esperienza un lavoro lo trovo da solo… eh”. Beh, certamente un lavoro da solo riuscirà, se vorrà, a trovarlo.

Come quando, lasciato il ministero del Tesoro, approdò in Goldman Sachs (a proposito di porte girevoli: vietarle non dovrebbe valere solo per i magistrati ma anche per chi passa dal ruolo di controllore a quello di controllato e in tutte le situazioni in cui si gestiscono posizioni che possono favorire società e gruppi di interessi). Però se vorrà nuovamente aspirare ad un incarico pubblico da quei partiti e da quei politici ci dovrà passare, e forse è proprio per cotanta spocchia che il Parlamento si è di fatto rifiutato di mandarlo al Colle, l’uva di Esopo.

E la politica? E candidarsi? Ipse dixit: “Se escludo che nel 2023 io possa essere federatore di una coalizione di centro? Lo escludo”. Ma veramente si può chiedere al ‘nominato’ per eccellenza, al migliore di tutti i migliori di confondersi con la massa di nullafacenti che va a chiedere il voto a questi poveretti di italiani? Ma no, che cosa disdicevole! Lui il premier lo fa per diritto divino, non perché nominato o votato, obtorto collo, dai partiti.

Così mentre il 22 dicembre dichiarava: “Questo governo è nato chiamato dal Presidente della Repubblica: ha fatto tutto o comunque molto di quello che era stato chiamato per fare”, aggiungendo: “Il governo ha creato queste condizioni indipendentemente da chi ci sarà”, dicendo in sostanza che il compitino assegnatogli era finito e con successo e che il resto era execution che poteva fare chiunque e che quindi poteva andare a miracol mostrare al Quirinale.

A quegli stessi partiti e politici che ora sminuisce e deride come nullità di cui non ha bisogno per trovare un posto di lavoro ha chiesto poi di votarlo come successore di Mattarella, come ci raccontano le cronache degli infausti giorni che hanno portato alla sua rielezione. Però, se come affermava solo il 22 dicembre scorso il suo compitino era finito, cosa ci sta ancora a fare a Palazzo Chigi?

Ora, come direbbe un altro migliore, il ministro Patrizio Bianchi, evidentemente ancora nessuno ‘lo ha imparato’ sul significato di Servitore dello Stato, di democrazia e di elezioni.

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