Diritti

Eutanasia, Binetti si batte per un ‘obbligo a vivere’. Ma le tabelle sui suicidi sono agghiaccianti

Paola Binetti, senatrice, oltranzista cattolica, continua a battersi – promuovendo convegni e rilasciando interviste – contro l’eutanasia e contro ogni legge che in qualche modo favorisca la morte dei malati terminali, anche di quelli che chiedono disperatamente di morire. E critica duramente la sentenza 242 del 2019 sul “caso Cappato”, che avrebbe “in un certo senso, depenalizzato l’aiuto al suicidio”.

Le norme in materia – sottolinea la Binetti, che rivendica il ruolo di essere stata, 12 anni fa, presentatrice e relatrice della legge sulle cure palliative – “devono indicare una traiettoria positiva, che amplifichi la possibilità che i pazienti abbiano una vita migliore, ascoltandoli e dialogando con loro e la loro famiglia” . “Non si tratta – precisa la senatrice – di porre fine alla loro vita ma di aiutarli a scoprire che la vita può sempre avere senso, soprattutto quando si capisce che non è l’autonomia in senso assoluto che ci rende liberi ma l’accettazione della nostra reciproca interdipendenza: abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri e su questo si fondano sia la solidarietà che la fraternità cui il Papa si riferisce con frequenza”.

Si potrebbe affermare che la Binetti vuole stabilire un “obbligo a vivere”, anche per quei malati che – sapendo di non avere speranza di guarigione e non volendo continuare a sopportare invano le sofferenze e le umiliazioni legate alle fasi estreme del male che li tormenta – hanno invece come sola speranza quella di morire. E se medici e familiari li “costringono a vivere” con dosi sempre più massicce di medicinali cercano nel suicidio la sola “uscita di sicurezza” da una vita che ritengono ormai inutile, umiliante e dunque non degna di essere vissuta.

Ho vissuto a lungo la tragedia di mio fratello Michele: un uomo di 72 anni, scapolo, gelosissimo della propria dignità, condannato a morte certa da una forma gravissima di leucemia. Michele avrebbe voluto morire, ma non trovò un medico disposto ad aiutarlo. E così un giorno, avendo avuto un fenomeno di incontinenza che lo aveva costretto alla umiliazione di essere lavato dalla sua badante, cambiato e rimesso al letto, scelse di farla finita: attese l’arrivo della notte e, poco prima dell’alba, si gettò dal quarto piano della sua casa a Roma. Nacque allora la mia volontà di battermi in favore della eutanasia, rafforzata da una terribile realtà documentata dall’Istat: ogni anno, in Italia, circa mille malati si suicidano nei modi più atroci (il più comune, l’impiccagione). Una realtà tenuta accuratamente nascosta agli italiani, visto che l’Istat – per volontà dei suoi dirigenti o per pressioni politiche – non aveva mai reso note queste agghiaccianti tabelle sui suicidi. E fui io – grazie a un presidente dell’ente più coraggioso degli altri, Alberto Zuliani – a fare in modo che queste tabelle divenissero di pubblico dominio.

Scelsi di rendere pubblico il dramma di Michele con una lettera che Corrado Augias – mio amico e già collega alla Rai – pubblicò con risalto su Repubblica e su cui si aprì sullo stesso giornale e poi in altre sedi un dibattito pubblico con tante drammatiche testimonianze. Poi, dopo l’iscrizione all’Associazione Coscioni, rintracciai e coinvolsi i familiari di tre “suicidi illustri”: Luciana Castellina per Lucio Magri, la compagna di Mario Monicelli, Chiara Rapaccini e i figli di Carlo Lizzani, Francesco e Flaminia. Tutti insieme, scrivemmo una lettera aperta al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ci rispose nella stessa forma sollecitando pubblicamente il Parlamento quanto meno a discutere apertamente questo tema così importante e delicato. E certamente anche per questo fu possibile a Marco Cappato e a Matteo Mainardi dar vita a un “intergruppo” cui hanno aderito decine di senatori e deputati di diversi orientamenti politici, tutti favorevoli alla legalizzazione della eutanasia.

Infine, visto che il Parlamento non si decideva mai a discutere seriamente la nostra proposta di legge di iniziativa popolare (firmata da oltre 80 mila cittadini/elettori) decidemmo di indire un referendum, che attende l’approvazione della Corte Costituzionale e che si terrà nella prossima primavera. Il testo – dato che in Italia i referendum possono essere solo abrogativi e non propositivi – si limita a proporre l’abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente). Ma la sua approvazione aprirebbe la strada a un rinnovato dibattito, anche parlamentare, sull’eutanasia. E a questo punto sono certo che anche l’Italia arriverà a legalizzare l’eutanasia, come hanno fatto da anni numerosi paesi in Europa e nel resto del mondo. Fa ben sperare la nomina alla presidenza della Corte di Giuliano Amato, grande giurista, laico e riformatore.