Economia

Franco difende l’abolizione del cashback: “Ha contribuito a spingere i pagamenti elettronici, ma l’aumento è continuato anche dopo”

Il ministro dell'Economia in audizione ha detto che la decisione è stata presa ''guardando i costi e i benefici", anche se il ministero lo scorso giugno aveva ammesso che l'analisi costi-benefici non era stata fatta. Quanto al reddito di cittadinanza, sulle cui modifiche sono arrivate anche le critiche dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Franco ha affermato che "non viene modificato nelle sue linee principali perché l’impatto sul sostegno alle famiglie italiane in difficoltà c'è ed è importante"

Il ministro dell’Economia Daniele Franco, nell’audizione sulla manovra davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha difeso la scelta di abolire definitivamente il cashback introdotto dal governo Conte 2 nonostante la misura – come ha riconosciuto – abbia “contributo a incentivare la diffusione dei pagamenti elettronici”. La motivazione? I pagamenti con carta avrebbero continuato ad aumentare anche dopo la cancellazione dell’incentivo. La proroga sarebbe costata 1,5 miliardi e ”guardando i costi e i benefici di questa misura abbiamo pensato di non prorogare” la norma, ha detto Franco, anche se il ministero lo scorso giugno aveva ammesso che l’analisi costi-benefici non era stata fatta. Nel primo semestre del 2021 “l’aumento dei pagamenti tramite pos è stato del 28% in valore”, ha ricordato Franco. “Pero abbiamo visto che nei mesi successivi, durante l’estate, le percentuali di incremento sono rimaste grossomodo invariate: 29% a luglio, 25% ad agosto, 26% a settembre”. Il Movimento 5 Stelle ha chiesto che il rimborso del 10% sulle spese con carta sia ripristinato e che sia introdotto anche un “cashback fiscale“, cioè l’immediato accredito sul conto corrente di alcune spese detraibili.

Quanto al reddito di cittadinanza, sulle cui modifiche sono arrivate anche le critiche dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Franco ha affermato che “non viene modificato nelle sue linee principali perché l’impatto sul sostegno alle famiglie italiane in difficoltà c’è ed è importante”. Anche se la sociologa Chiara Saraceno, presidente del Comitato Scientifico per la valutazione del Reddito, ha lamentato che la stretta impressa dal governo “rafforza l’idea dei beneficiari come pigri nullafacenti, evitando di mettere a fuoco la carenza di politiche attive e la mancanza di domanda di lavoro di qualità adeguata alle basse qualifiche della stragrande maggioranza dei beneficiari”. Sulla cumulabilità del rdc con il reddito da lavoro, misura stralciata, il ministro ha ammesso che “l’ipotesi è caduta” per il venir meno delle coperture, che avrebbero dovuto arrivare dal decalage di 5 euro dopo 6 mesi per tutti che è stato poi rimodulato e previsto solo per chi rifiuta un’offerta. Ma “ha degli aspetti positivi”, ha detto, invitando di fatto i parlamentari a recuperare quella novità durante l’iter di conversione.

Il ministro si è poi mostrato ancora una volta scettico sulla sostenibilità dei maxi incentivi alle riqualificazioni energetiche degli edifici. Il complesso delle proroghe degli incentivi immobiliari costerà 30 miliardi nei prossimi anni, ha detto, di cui 14 solo per la parte di superbonus 110% prorogata al 2022. Si tratta di “cifre importanti” se si pensa che, solo nel 2021, “il costo di cassa dei vari bonus immobiliari, cioè la la somma di rate dei lavori degli scorsi anni che si scaricano, è stimata in 11,5 miliardi”. Dunque, mentre “discutiamo di 8 miliardi di interventi sul fisco” dobbiamo “tener conto che i contribuenti si scaricano quest’anno 11,5 miliardi di sgravi fiscali”, ha insistito. “Adesso abbiamo nel settore italiano delle costruzioni un eccesso di domanda rispetto all’offerta. Il settore va sostenuto ma soprattutto gli va data una prospettiva temporale. Pagare più del 100% non è una situazione normale, è uno strumento d’emergenza, però un po’ alla volta bisogna tornare a soluzioni più normali”.

Quanto all’intonazione generale della politica di bilancio, il ministro ha garantito che resterà “espansiva fintanto che il pil e l’occupazione recupereranno la mancata crescita rispetto al 2019”. Il “test di questa politica economica non è tanto la crescita quest’anno, che sta andando bene – chiuderemo con una crescita superiore al 6% indicato nella Nadef dell’ordine di due o tre decimi – e nemmeno quella del prossimo anno, che credo continuerà ad andare bene, ma è la crescita nel 2023-2024-2025”. Solo che Le misure contenute nella legge di bilancio sono ovviamente “tutte costruire nell’ipotesi che la nostra economica continui a crescere” e quindi si basa “sull’assunto che la pandemia sia sotto controllo e non vi siano chiusure devastanti. E’ ovvio che qualsiasi cambiamento di questo scenario dovrà imporre delle decisioni. L’idea è di avere un graduale rientro a condizioni di normalità”.

L’altra variabile sono le decisione della Bce: ora “siamo facilitati nella gestione dal fatto di avere una politica monetaria ancora accomodante” ma “guardando avanti nel tempo, i tassi d’interesse saliranno, le politiche straordinarie verranno meno, quindi dobbiamo affrontare questa fase con un’economia più dinamica e solida che ci aiuti a gestire la situazione”.