Lavoro & Precari

Prima di tornare alla legge Fornero penserei a una seria riforma del lavoro

di Giovanni Papa

Come è possibile che a soli tre anni di distanza da elezioni politiche che hanno espresso più del 50% delle preferenze a favore di partiti che si scagliavano violentemente contro la legge Fornero e a meno di due anni dalla correzione che gli stessi vi hanno apportato in parlamento, si torni alla Fornero o comunque nelle sue prossimità, ad arco parlamentare invariato?

Una giravolta tanto più incredibile laddove gli attuali sondaggi danno la somma di questi partiti, ai quali va aggiunta l’importante componente di un Fratelli d’Italia che al pari degli altri si dannava l’anima contro quella riforma delle pensioni, ancora ben oltre il 50%.

Perché partiti di governo e finte opposizioni, che affogate nella più assoluta inconsistenza dimostrano di essere allineate con Draghi fino a risultare quasi trasparenti, hanno repentinamente cambiato obiettivi, lessico e vivacità su una materia così fondante?

Nascondersi dietro a costi che sono sull’ordine di un ventesimo rispetto a quanto spendiamo ogni anno per finanziare il fenomeno della corruzione dei “colletti bianchi”, reato che era “urgente” bonificare con la Cartabia, sembra il solo finto modo di dare incerte risposte da parte di una classe manageriale al tempo stesso inconsistente quando si tratta di abbozzare politiche sull’avvio al lavoro.

Ed è così che ci capita di assistere a reti unificate alle giornaliere paternali di un presidente di Confindustria che con il contralto della rediviva Fornero in persona, ovviamente senza alcun dibattimento, ci dicono che quota 100, dl di inizio 2019, al 2021 non ha sortito alcun effetto sul ricambio generazionale sperato, eclissando opportunisticamente dati, come due anni di pandemia, 4,6 milioni di infetti, 130mila morti (solo in Italia) e l’intero globo terrestre entrato nella crisi più nera dell’era moderna. Sono uno spettacolo solo a sentirli.

Addirittura da far pagare il biglietto laddove la matematica afferma che abolire quota 100 non è esattamente quella riforma strutturale fatta da manager pensanti, dal momento che già oggi i 38 anni di versamenti e 62 di anzianità sono un miraggio inarrivabile per quell’ormai 80% di giovani che entra nel mondo del lavoro a trent’anni suonati con contratti capestro per lo più precari, che farebbero rabbrividire i migliori “caporalati”.

Assenti in certe affermazioni spot risultano essere anche le ricadute economiche non arginabili dei baby boomers (persone che hanno cominciato a lavorare presto e in modo continuativo) evidentemente non legati a quota 100, come superficiale nel calcolo delle sostituzioni risulta quella ignorata quota attribuibile ai lavoratori andati in pensione con quota 100, che già non lavoravano (licenziati, cassintegrati, etc.), quindi non sostituibili.

Numeri dati un po’ a caso e a favore di telecamera che mostrano quanto essere uniformati ad un’unica narrazione e accondiscendenti sull’attuale restaurazione diventi un dogma al quale tutti si debbono adattare, comprese le opposizioni e quei sindacati neanche lontanamente somiglianti a quelli che difendono i diritti dei cugini transalpini.

Con delle ottime prove generali, dovessero mai un domani servire per un identico e silente concordato anche sull’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, pare ormai segnato il destino di una ulteriore riforma fatta sulle spalle di lavoratori e lavoratrici che non riescono né ad andare in pensione, né tantomeno a vedere la generazione dei loro figli lavorare senza contratti da fame.

Ma con queste premesse non sarebbe forse il caso, ammesso che qualcuno ci riesca, di applicarsi prima allo studio di una seria riforma sul lavoro? Questa si che sarebbe una novità!

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