Cultura

Dacia Maraini: “Leggere? Un modo per diventare consapevoli”. Il suo Festival di Pescasseroli apre con il libro dell’immunologa Antonella Viola

La scrittrice sta lavorando a "Caro Pier Paolo” nel centenario della nascita di Pasolini. Sono lettere di oggi all’amico di tanti viaggi ed emozioni. Il Festival si chiude il 21 agosto con Michele Santoro e il suo “Nient’altro che la verità”

Il buen retiro di Dacia Mariani è a Pescasseroli, un paesino di 2 mila anime nel Parco Nazionale dell’Abruzzo. La città più vicina è L’Aquila. Da tempo la scrittrice ha preso casa estiva qui. In questo posto intimo sulle alture, di panorami silenziosi e vita sociale discreta, sono nati “La bambina e il sognatore”, “Colomba” e “Chiara d’Assisi”. Qui sta scrivendo il prossimo libro, “Caro Pier Paolo”, in uscita nel 2022, nel centenario della nascita di Pasolini. Sono lettere di oggi all’amico di tanti viaggi ed emozioni. La scrittrice, che chiede la riapertura dell’inchiesta sulla morte dell’intellettuale, immagina di scrivergli oggi.

Sempre qui, quattro anni fa, ha creato il festival “Pescasseroli legge”, che alla sua terza edizione dall’11 al 21 agosto invita autori e autrici di alcuni dei libri più significativi di recente pubblicazione. Idee, punti di vista, letture, scambio di opinioni sono al centro di un’agorà aperta al pubblico sui grandi temi di attualità. L’etica, la fede, le donne, la storia, la pandemia e la paura.

Leggere fa bene?
È un modo per diventare consapevoli, storicamente e psicologicamente. Un esercizio della mente che porta a conoscere il mondo degli altri. Ci fa crescere. Dopo un anno e mezzo di restrizioni che hanno escluso l’incontro vivo fra le persone è bello vedere una piazza riempirsi di lettori. Leggerò, dialogherò con gli autori invitati. Condividere visioni ed emozioni narrative e saggistiche, capire meglio, approfondire, ragionare sui grandi temi di attualità è il senso di questo appuntamento. E funziona.

L’apertura del Festival?
Con Antonella Viola. Il suo libro, “Danzare nella tempesta. Viaggio nella fragile perfezione del sistema immunitario”, racconta con rigore scientifico ma in modo accessibile la fragilità e la meraviglia del nostro corpo e del suo sistema di difesa. Un organismo intelligente, dotato di memoria, capace di mettersi in relazione con l’ambiente e di offrire a noi esseri umani un modello per affrontare la crisi in cui ci troviamo. Bisognerebbe farlo leggere ai no-vax.

Lei è favorevole al vaccino?
Penso che il vaccino sia necessario. Che tutte le fantasie sui suoi effetti siano false notizie. Mi hanno somministrato i vaccini obbligatori, quello contro il vaiolo per esempio, o contro la febbre gialla, prima di andare in Africa. Credo nella scienza e nei virologi. Credo nella competenza. Mi considero competente nella letteratura, non nei vaccini. Perciò ho fiducia.

E della paura del vaccino cosa pensa?
Ho approfondito, per scrivere “Trio”, la storia dell’epidemia di peste in Italia nel XIV secolo. Anche allora l’istinto era di cercare colpevoli, di affidarsi alle voci dell’untore che ungeva le porte. Sono favole. La paura porta a esplosioni di irrazionalità. Oggi sappiamo cos’è un virus ma la paura ci porta a cercare colpevoli nelle aziende farmaceutiche. Ho sentito persino parlare di un microchip che verrebbe inserito con il vaccino per controllare il cervello della gente. Sono fantasie malate. Ieri era il castigo di Dio. La psicologia umana non è cambiata di fronte alla paura.

A proposito di fede: il 12 agosto il Festival ospiterà l’arcivescovo Vincenzo Paglia. Di cosa si parlerà?
Presenterò “Il senso della vita. Conversazione tra un religioso e un poco credente” di Luigi Manconi e Vincenzo Paglia. Un dialogo profondo che mette a confronto queste due concezioni del mondo distanti e, per certi versi inconciliabili. Forse ci sarà una via in cui convergere.

Quale?
Un nuovo umanesimo, un “noi” solidale, la prospettiva di una cittadinanza universale. Un uomo di Chiesa aperto e un laico che ha fatto battaglie per il miglioramento delle condizioni degli ultimi a confronto. Contraddizioni che forse non sono insanabili. Ci sono cose in comune: l’aiuto agli umili, la fratellanza. La discussione serve per crescere.

È credente?
Sono agnostica. Ho rispetto delle idee altrui. La fede è un atto d’amore. Ho un’amica molto cara, suor Rita, vive a Caserta e aiuta le donne prostitute a uscire da quel giro. La ammiro moltissimo. Sono stata molto credente, quando ero in collegio a Firenze, dai 10 ai 13 anni. Conservavo una Madonna nel banco della scuola e ogni giorno le portavo fiori. Poi sono cambiata. Per me l’universo è una storia terribile di moti chimici. Magari ci fosse un Dio che protegge e giudica!

Ci sarà, il 19 agosto, Donatella Di Pietrantonio, premio Campiello…
Quella di “Borgo Sud”, ultimo lavoro dell’autrice, è una storia delicatissima. Ci parla di rapporti familiari, di sorellanza, del legame fra due figlie, di una madre intermittente. Il tutto in un’ambientazione abruzzese. La pacificazione col passato e con i propri ricordi avviene, appunto, attraverso il sentimento fra due donne, sorelle.

Il coraggio delle donne?
In questo momento di pandemia è ancora più evidente. Il peso del Covid è sulle donne. Sono ancora loro, in gran parte, a curare i figli, i nonni, a occuparsi di casa e cucina. Fanno un doppio lavoro, che sia in smart working o no. La nostra società, nonostante i diritti conquistati, è ancora a misura d’uomo.

E le battaglie degli anni ’70?
Le donne in quegli anni erano tutte unite. Oggi no. È stata una grande rivoluzione nella storia italiana: diritto di famiglia, abolizione del delitto d’onore, parità sul lavoro, divorzio. Poi c’è stata la riconquista del mondo patriarcale.

Quali le battaglie di oggi?
Prima non avevamo diritti. I reati di violenza sessuale e incesto erano rispettivamente parte dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume. La donna che commetteva adulterio era punita. Ma non l’uomo. Ci sono stati grandi raggiungimenti dal punto di vista legale, ma per cambiare la mentalità resta ancora molto da fare. Il mondo è ancora androcentrico.

Da cosa si potrebbe partire per cambiare mentalità?
Per formare una nuova generazione di uomini e donne bisogna investire, non solo economicamente ma anche culturalmente e psicologicamente, sulla scuola. Giro ogni anno le scuole del Paese per parlare con gli studenti. E sa cosa viene fuori? Non è vero che hanno solo voglia di chattare. Hanno tantissimo bisogno di dialogare.

Il Festival si chiude il 21 agosto con Michele Santoro e il suo “Nient’altro che la verità”. Si parlerà di Sicilia e mafia…
Il libro di Santoro porta alla luce quanto emerso dal suo dialogo con il pentito di mafia Maurizio Avola. Politica e potere, informazione e depistaggi, vicende personali e derive sociali si intrecciano fra passato e presente, dalla Sicilia degli anni settanta all’Italia di oggi.

Dopo il Festival, il libro su Pier Paolo Pasolini?
È ancora presto per parlarne. Sarà un libro di lettere a un amico scomparso a cui ero legata da profondo affetto. Immagino di scrivergli oggi: “Caro Pier Paolo”.