Diritti

2 giugno 1946: finalmente arriva il voto per le donne. Ma non per tutte

2 giugno 1946: poco tempo dopo la lotta antifascista, la presenza delle partigiane in resistenza fuori e dentro casa, le donne vanno in massa a votare. Il diritto al voto alle donne avrebbe dovuto portare fin da subito molti cambiamenti, ma così non è stato. Ci sono volute le lotte delle donne negli anni ’70 per permettere la riforma del diritto di famiglia, per consentire, solo nel 1981, la cancellazione del matrimonio riparatore, la possibilità di abortire in sicurezza e, vi ricordo, solo nel 1996 si riconobbe lo stupro non più come violenza contro la morale ma contro la persona, la vittima di stupro. E dietro ogni modifica tante donne sono state ovviamente sacrificate durante il percorso. Ci sono volute tante vittime di maltrattamenti, abusi, stupri, femminicidi, perché il parlamento fosse obbligato a discutere di cambiamenti.

Le donne erano presenti al voto e venivano elette in parlamento, ma il fatto di essere donne non voleva necessariamente dire che fossero dalla parte delle persone che lottavano per la difesa dei propri diritti. Lo abbiamo visto in passato e lo vediamo ancora oggi. Le donne votano sulla base di convinzioni che sono frutto di educazione e mentalità gelosamente diffuse e custodite nelle famiglie, nella società. Votano e sono votate sulla base del culto dell’immagine, della capacità di disporre di risorse economiche e mezzi di comunicazione che altre non possiedono. Le differenze di classe, di etnia, di identità rappresentano un discrimine di base che prescinde dal fatto di essere donne o meno. Tante donne nominate come elementi rappresentativi del potere vengono favorite perché sono brave a mantenere lo status quo. Sono diventate politicanti che si alleano con chiunque pur di ottenere quel che coincide con le proprie convinzioni: vedi ad esempio la coincidenza di vedute tra alcune rappresentanti parlamentari del Pd e la gente dell’ultradestra cattolica in relazione al disegno di legge Zan contro l’omobitransfobia.

Questo vuol dire che il voto per le donne non ha rappresentato nulla? Tutt’altro: ha messo in luce una verità precisa. Le donne sono parte della società e come tali vengono rappresentate e si autorappresentano sulla base di convinzioni che hanno il diritto di evolversi, ed essere approvate o criticate, nelle direzioni che più preferiscono. Siamo parte del dibattito comune e partecipiamo a quel dibattito come protagoniste e non come semplici e passive spettatrici. Il diritto al voto è arrivato come faccenda che doveva già essere scontata ma scontata non era, come non lo era il fatto che le donne potessero accedere ad ogni campo occupato dagli uomini. Il solo fatto di pensare che oltre a figliare per la patria e a fare da massaie le donne potessero anche essere in grado di produrre pensiero autonomo era già di per sé una rivoluzione e rivoluzionario fu quello che accadde in seguito, grazie a cui io e molte altre abbiamo potuto trovare modo di esprimere la nostra voce in ogni campo e luogo.

Ciò non vuol dire che le nostre voci siano state ascoltate, ma sentiamo di avere il diritto di esprimerci e di confrontarci e di operare una dialettica tra donne che non per questo devono tutte pensarla allo stesso modo. Dunque, ecco la novità: le donne pensano, esprimono opinioni e non sono tutte uguali. Quello che avvenne dopo non fu esattamente conseguenza dell’idea rivoluzionaria che portò al voto delle donne. Fu conseguenza del fatto che allora come adesso molte pensavano che solo per il fatto di poter votare le donne avrebbero dovuto o voluto essere dalla parte delle vittime di discriminazione.

Oggi sappiamo che ci sono state e ci sono donne fasciste che negano diritti di cui loro stesse fruiscono. Sappiamo che è più facile trovare spazio e ascolto tra uomini maschilisti se li si addomestica al paternalismo d’accatto e li si protegge quando fanno stronzate. Sappiamo che per avere potere bisogna in qualche modo strisciare biascicando una parola o due sul femminicidio quando fa più comodo. Perché le donne sono diventate strumento del potere a più riprese e quando qualcuna, quella più potente perché privilegiata, bianca, ricca, dice che le donne dovrebbero tutte essere uguali nega a tutte noi il diritto di realizzare percorsi autonomi che ripartono dal basso. Il terreno “basso” fatto di costanti discriminazioni cui tante sono sottoposte perché di ceto, etnia, religione, cultura, identità politica diversa.

Tante oggi decidono anche di non votare perché non si sentono rappresentate neppure dall’alternanza uomo-donna nelle liste elettorali, perché non è la quota rosa che le soddisfa; ma eventualmente vorrebbero che si agisse di più sul piano culturale, parlando di precarietà e diritti, senza che tutto debba essere inteso in termini corporativi. Tante donne in politica oggi fanno corporazione, si autotutelano e non danno voce e spazio a nessun’altra. Tante conquiste fatte sono frutto di acquisita civiltà e tanto regresso messo in piazza è frutto di nuove e mutevoli forme di restaurazione.

Oggi più che mai succede che ci siano donne di potere che non avendo avuto interesse a lottare contro le grandi forme di discriminazione universali usano la propria influenza, il proprio denaro, i propri privilegi per sottomettere e dominare quelle tra noi che se non la pensano come loro saranno solo ostracizzate, insultate. Il punto non è più se le donne abbiano o meno il diritto di votare, ma la maniera in cui questo diritto/dovere viene usato. A tante interessa discutere di questioni di genere, etnia, classe, di lotta contro ogni privilegio che consente a chi ha potere di silenziare e togliere diritti a chi non ne ha. Non ci interessano le lotte “rosa”. Non ci interessa mantenere il privilegio del dominio sulle questioni della maternità, come a certune che parlano di femminismo solo per imporre nuovi e più fascisti ritorni al maternage. Ci interessa il diritto di autodeterminare quel che vogliamo essere e diventare. Ci interessa il fatto che si supportino le nostre scelte per le professioni che vogliamo svolgere, per l’identità di genere che ci appartiene.

Se avete dubbi chiedete alle nostre compagne e sorelle trans, nere, sex workers, precarie, migranti, escluse, disabili, se e quando il voto ha per loro costituito un vantaggio.

Quanti voti delle donne hanno migliorato la loro condizione? Quante volte è stato loro permesso di rappresentare se stesse senza che siano state costrette a mediare con chi le vorrebbe mute, povere, delegittimate quando tentano di autorappresentarsi? Quante donne migranti restano in galera perché migranti? A chi interessa delle leggi sull’immigrazione che le obbligano ad un calvario di stupri e violenze senza fine? Quante donne trans vengono uccise, stuprate, massacrate, per pura transfobia mentre le borghesi perdono tempo a discutere sul fatto di riconoscere o meno la loro esistenza? Quante sex workers vengono mutilate e uccise mentre c’è chi le mantiene in clandestinità rifiutando di regolarizzare la prostituzione? Quante tra noi sono davvero rappresentate? Il nostro voto, la nostra voce, valgono qualcosa? Quando festeggiate il 2 giugno chiedetevelo. Io me lo chiedo.