Politica

L’effetto Conte sul M5s può essere salvifico. Non serve rifondare ma mediare tra le anime

Come era stato già preannunciato da precedenti sondaggi “l’effetto Conte” sul M5S si confermerebbe considerevole e, a questo punto di crisi galoppante ed apparentemente irreversibile, anche salvifico purché, a mio modesto parere, l’obiettivo sia quello ragionevole ed urgente di sciogliere i nodi inestricabili e autodistruttivi della burocrazia grillina senza svilire o peggio annientare con una sorta di damnatio memoriae i valori fondanti del Movimento.

Secondo i dati Swg per La7, il M5S guidato da Conte guadagna il 6,2% e si attesta al 22% e cioè ad un soffio dalla Lega al 22,3%, sorpassando FdI al 17% ed attraendo voti prevalentemente dal Pd che si fermerebbe al 14,2% ma anche dagli indecisi che si ridurrebbero drasticamente dal 41% (o al 39,2% per l’istituto Ixé) al 35%. Sul forte appeal di Conte nei confronti del grande bacino degli elettori delusi del M5S da recuperare e riscattare dall’immensa area dell’astensione pone l’accento anche Antonio Noto sottolineando anche come il balzo nei sondaggi in questo caso è immediato per la popolarità di cui gode tuttora l’ex presidente del Consiglio. Una conferma del gradimento personale sempre molto alto di Giuseppe Conte risulta anche dalla graduatoria stilata da Piepoli che gli attribuisce il 57% delle preferenze, inferiore solo a Mario Draghi, percepito ancora per ovvi motivi come il deus ex machina della situazione, e Sergio Mattarella, un riferimento scontato nelle massime avversità.

Che il ritorno di Conte sulla scena politica fosse scontato era già scritto nella sua uscita a testa alta da Palazzo Chigi tra gli applausi e le lacrime più o meno trattenute dei collaboratori come nei passaggi cruciali della sua lectio magistralis all’università di Firenze, incentrata sulla nuova Europa che aveva iniziato a ridisegnare nel tempo limitato che ha avuto a disposizione.

Da subito è risultato evidente il flop del coordinamento tra i gruppi parlamentari di Pd, M5S e Leu al Senato – in vista di una futura alleanza – di cui l’ex premier avrebbe dovuto essere il federatore: il progetto era nato quasi morto per le divisioni interne al Pd e per la diffusa diffidenza, se non aperta ostilità, di varie correnti, in primis Base Riformista di Guerini e Lotti, e molti traversali amici non pentiti di Renzi.

Così, mentre la sua popolarità continua a toccare i picchi più alti e il Movimento che gli ha consentito di dimostrare di essere uomo delle istituzioni e in sintonia con i cittadini sta pagando un prezzo spropositato per il sostegno al governo Draghi, Giuseppe Conte ha fatto la cosa giusta al momento giusto accettando la responsabilità di guidarlo nel passaggio più difficile.

Oltre all’autorevolezza acquistata sul campo e alla saggezza dimostrata nell’archiviare l’opzione di crearsi un partito personale, che avrebbe comunque sottratto molti voti al Pd e sconquassato ulteriormente il M5S, Giuseppe Conte ha anche il notevole vantaggio di non avere incarichi di governo e di potersi dedicare a ricostituire il rapporto del Movimento con i cittadini, che si è via via rarefatto, allargando così ulteriormente l’area del suo consenso.

Al momento però ha di fronte un fronte imponente di problemi, nodi e conflitti dirompenti se non esplosivi, difficili persino da riepilogare.

Abbastanza scontato è arrivato l’assenso di Conte all’entrata in giunta nel Lazio di Roberta Lombardi e Valentina Corrado, ferma restando l’autonomia sulle candidature per i Comuni e dunque, mi auguro, senza contraccolpi per la Raggi; anche se l’ultima parola spetta agli iscritti sulla piattaforma Rousseau.

E già solo questo ingresso, che dovrà passare dal voto, solleva la questione cruciale del conflitto in atto da troppo tempo tra i governisti, e cioè la quasi totalità dei parlamentari al netto degli espulsi, e Davide Casaleggio: uno scontro che include le priorità politiche rilanciate dal manifesto di queste ore su Rousseau ispirato ai principii dei fondatori, da Dario Fo ad Adriano Olivetti, da Francesco d’Assisi a Gianroberto Casaleggio. “Per tornare a volare alto – si legge – dobbiamo anteporre le idee alle persone, le riforme alle poltrone, l’esempio personale al cambiamento che vogliamo vedere negli altri . . . non dobbiamo accomodarci sulle seggioline della tifoseria politica.. “. A questo si aggiunge la penosa ed ormai annosa controversia economica dei 450mila euro di versamenti arretrati dei parlamentari per il funzionamento della piattaforma, il cui utilizzo potrebbe essere ritardato o vietato.

La risposta dei big che siedono nei banchi del governo Draghi è stata immediata e tranciante: “Auguri a Rousseau. Il Movimento va con il vento in poppa e con Conte”, ha commentato il ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli dando per scontato che Casaleggio e tutti quelli che si sono messi “Contro Vento” sono già fuori dal M5S di Conte. Peccato che il garante Beppe Grillo, che ha di fatto traghettato il M5S nel governo Draghi e ha chiesto a Giuseppe Conte di rifondare la sua creatura a pezzi, non abbia la stessa determinazione di cancellare con un tratto di penna espulsi e fuoriusciti e non voglia nemmeno buttare fuori con una pedata Casaleggio.

La mediazione che Conte dovrà trovare non è facile ma è auspicabile che ci sia. Quel 40% che si è espresso contro il quesito mal posto di Grillo potranno ascoltarlo in quanto non sono stati espulsi da lui, come ha evidenziato Gianfranco Pasquino: “Il compito di un capo politico è aggregare, non sovraintendere a scissioni”.

L’unica cosa che mi auguro è che Conte non rivolti “quel che resta del M5S come un calzino” ma non credo appartenga al suo stile. Né tantomeno vedo la necessità di attribuirgli un potere assoluto e un tantino arrogante per spargere sale sul passato, cambiare nome “per attrarre pure chi odia i grillini”, buttare a mare Casaleggio, Rousseau e “tutte ste menate”, al fine di costruire nientepopodimeno che un ibrido miscuglio di Verdi, DC e Sardine riciclate.