Economia

“Il nome di Draghi garanzia per l’avvio del Recovery, unica chance per tornare a crescere e non essere travolti dal debito. Col voto a primavera non reggeremmo”

Per Carlo Altomonte, docente di Politica economica europea alla Bocconi, di fronte all'impossibilità di ricomporre una maggioranza a sostegno del governo dimissionario non ci sono altri sbocchi. Indispensabile un esecutivo che finisca di scrivere il piano e avvii gli investimenti. Andare alle urne con la prospettiva che vincano forze sovraniste ci metterebbe in difficoltà sui mercati. La prossima tappa? "Definire obiettivi finali e tappe intermedie di ogni progetto: l'erogazione dei soldi dipende da quello". La governance? "La task force che non piaceva a Italia viva era del tutto simile a quelle degli altri Paesi"

“Il nome di Draghi, se accetta, è il modo migliore per dare al mercato e ai partner dell’Italia una garanzia di avviare il Paese nel solco della ripresa tracciato dall’Europa. Una volta che il Piano di ripresa e resilienza sarà stato avviato si potrà poi andare al voto tranquillamente”. Per Carlo Altomonte, docente di Politica economica europea alla Bocconi, di fronte all’impossibilità di ricomporre una maggioranza a sostegno del governo dimissionario altri sbocchi possibili non ci sono. Con un esecutivo ponte messo in piedi solo per traghettare l’Italia alle urne a primavera “arriverebbe la Troika”. Si fa per dire, ma lo spauracchio del Paese con il debito/pil più alto della Ue dopo la Grecia serve per chiarire una delle motivazioni dietro la scelta fatta dal capo dello Stato Sergio Mattarella, che intende formare un governo “del presidente” e ha convocato per mercoledì Mario Draghi. In gioco ci sono gli investimenti e le riforme necessari per ottenere le risorse europee indispensabili per tornare a crescere.

Professore, perché tornare al voto in primavera andava escluso?
Perché non reggeremmo. La Lega è ben lontana da uno sdoganamento europeista e, con la prospettiva di un probabile governo sovranista, il mercato riterrebbe il nostro debito (nel 2020 salito al 157% del pil, ndr) non più sostenibile. Potrebbe iniziare a mettere in discussione il supporto dell’Ue e della Bce all’Italia. Al contrario, con un governo di scopo solido che finisca di scrivere il piano e inizi ad attuarlo in un quadro europeista la navigazione si preannuncia tranquilla. A quel punto, con le riforme avviate, si potrà andare alle urne e il mercato digerirà qualsiasi esito.

Il Recovery Plan ora all’esame del Parlamento è una buona base?
Ha un‘impostazione corretta. Certo, ci sono elementi da sistemare che richiedono un lavoro importante e occorre quanto prima chiedere il supporto delle istituzioni europee nella stesura delle parti che mancano, un processo fermato dalla crisi. Poi servirà un impegno parlamentare a fare le riforme necessarie. Per questo occorre una maggioranza solida che consenta al governo di farsi dare la delega su questi gangli vitali.

Il Piano va presentato entro aprile “ma è fortemente auspicabile che avvenga prima”, ha ricordato Mattarella. Quali parti vanno completate?
In questo momento ne manca un pezzo: deve esserci un legame molto più esplicito tra investimenti e riforme. Per ogni capitolo di spesa vanno messi nero su bianco gli obiettivi finali che intendiamo raggiungere con ogni riforma e progetto e le tappe intermedie: l’erogazione dei soldi dipende dal loro raggiungimento, non dal fatto che li abbiamo semplicemente spesi.

Per esempio, quindi, non basta scrivere che intendiamo ridurre la durata dei processi.
Dobbiamo indicare di quanto intendiamo ridurre la distanza dalla media Ue e in quanto tempo. Puntiamo a portare il divario dal 50 al 30% tra un anno? Se tra un anno ci saremo riusciti riceveremo tutte le risorse indicate per il progetto, anche nel caso ne avessimo usate di meno. Ma se quell’obiettivo intermedio non sarà raggiunto i soldi non arriveranno. Anche le parti sociali e gli enti locali, che andavano coinvolti prima nell’iter, devono contribuire indicando non dove spendere i soldi ma quali sono gli obiettivi a cui puntano.

Decidere dove spendere non è il punto centrale?
No, il tema non è come dividersi il raccolto ma come costruire l’aratro: il Recovery deve creare le condizioni per crescere in futuro e non andare a sbattere. Ora dobbiamo individuare gli obiettivi, dopo decideremo come redistribuire. Anche perché contando anche i prestiti Bei, il Sure e gli altri fondi europei, compresa la parte non spesa ma già contabilizzata – il Mes cambia poco – ci sono a disposizione in totale oltre 400 miliardi: c’è ampio spazio per introdurre in un quadro organico una riforma del welfare, o il quoziente familiare, spiegando che contribuiranno a stimolare l’occupazione femminile e quindi rilanciare la produttività. Il secondo aspetto importante è il coinvolgimento di capitali privati nei settori strategici: sulle partnership pubblico-private ora c’è un’apertura, ma serve anche un quadro regolatorio stabile.

L’obiettivo finale è aumentare la crescita.
Un Recovery fatto bene potrebbe accrescerla di almeno 1 punto in via strutturale: dallo 0,5% circa all’1,5% annuo. E’ la nostra unica chance: stiamo in piedi solo se il tasso di crescita supera il costo del debito, e con gli attuali tassi di interesse l’1,5% sarebbe sufficiente a rendere il debito sostenibile. Se non ci arriviamo, chiunque sia al governo si troverà un burrone davanti.

E la governance, su cui Italia viva ha puntato i piedi?
La task force poi tolta dal tavolo perché Iv era contraria era in realtà del tutto simile alle strutture messe in campo dagli altri Paesi Ue: un comitato interministeriale in cima e sotto dei capi area che si occupano di progetti specifici. Parliamo probabilmente di un centinaio di investimenti, una struttura di 300 persone non mi sembra eccessiva. Non li devi assumere, li prenderai dai ministeri, dalle amministrazioni, dalle aziende partecipate, dalla Corte dei Conti. Al massimo potrebbe servire una deroga temporanea alle norme sui contratti della pa per comandare qualcuno dal privato. Poi bisognerà dare a questa struttura i poteri sostitutivi necessari per superare le usuali lentezze della nostra amministrazione.