Diritti

Omocausto: il passato rischia di tornare. E non troppo lontano da qui

Quando si parla di Giornata della Memoria si fa di solito riferimento a milioni di vittime ebree. Stiamo parlando di 6 milioni tra uomini e donne, di tutte le età, assassinati dalla follia nazista. Ma gli ebrei non furono le uniche vittime di Hitler e del suo progetto politico. Vanno anche ricordati comunisti, rom, testimoni di Geova, “asociali” e persone omosessuali. Tutto ciò che rientrava nell’etichetta della diversità – con la connotazione di “pericoloso” – finiva nei lager tedeschi.

Lo sterminio di gay e lesbiche, durante quegli anni, è stato definito “omocausto” per analogia linguistica. Si calcola che nella Germania nazista furono fino a 15.000 i prigionieri omosessuali. I morti furono dai 6.000 ai 9.000. La persecuzione contro i gay era disciplinata dal Paragrafo 175, che rendeva illegale l’omosessualità. Tale legge fu addirittura inasprita dal nazismo. I prigionieri omosessuali venivano condotti nei campi di sterminio ed erano riconosciuti per mezzo del triangolo rosa. Qui, spesso, venivano discriminati dagli altri prigionieri, che li disprezzavano per il loro orientamento sessuale.

La condizione dei maschi gay era tra le più dure: destinati a lavori pesantissimi, anche con lo scopo di “riconvertirne” la natura, furono al centro di esperimenti scientifici. “Emblematico è il caso di un medico delle SS, il danese Carl Vaernetricorda un report di Arcigay, “attivo nel lager di Buchenwald. Nel folle tentativo di ‘guarire’ i prigionieri omosessuali, egli impiantò in diverse cavie una ‘ghiandola sessuale artificiale’ a base di dosi massicce di testosterone. L’esperimento non solo fallì, ma portò alla morte l’80% delle cavie”. È stato calcolato che “la mortalità dei triangoli rosa” fu “una delle più alte tra le varie categorie di internati”: il 60% dei prigionieri morì nei campi di sterminio, “la maggior parte dei quali durante il primo anno di internamento”.

Anche le donne lesbiche finirono nei campi di sterminio, come a Ravensbruck. Qui vennero catalogate come asociali. Avevano addosso un triangolo nero. Stavano insieme a “senza fissa dimora, malate di mente, disabili, testimoni di Geova, oppositrici politiche, attiviste della resistenza, comuniste, zingare, vagabonde, prostitute, mendicanti, ladre”. Categorie tutte “considerate di razza inferiore e reiette che andavano corrette, punite ed estirpate dalla società per evitare che contagiassero gli ariani”. E, ricordiamo ancora, “nel campo le donne subirono sevizie, esperimenti medici, torture, sterilizzazioni e aborti, esecuzioni sommarie oltre a ritmi estenuanti di lavori forzati”.

Nella Giornata della Memoria, dunque, ricordiamo tutte le vittime del nazismo. Ma andrebbe fatto di più: andrebbe ricordato come si è arrivati a quei genocidi. Non avremmo avuto sei milioni di morti se non ci fosse stato un lungo antisemitismo, la narrazione demonizzante del popolo ebraico. Narrazione che affonda le sue radici in ragioni di natura religiosa e politica, insieme. La stessa narrazione demonizzante, ancora oggi, è riservata proprio alla comunità Lgbt+.

Il disprezzo contro gay, lesbiche, transgender, ecc, è motivato sia da questioni di natura religiosa (l’omosessualità come peccato, testi sacri alla mano) sia da questioni d’ordine morale e politico: la famiglia intesa solo come unione di uomo e donna, le conseguenti legislazioni discriminatorie, la bufala del “gender” per cui i gay vorrebbero corrompere la salubrità eterosessuale – e che fa il paio con I protocolli dei savi di Sion, documento falso che voleva dimostrare come gli ebrei volessero controllare il mondo – sono tutti ingredienti di una narrazione che vuole gettare discredito sulle persone Lgbt+. Come un tempo si faceva con gli ebrei.

Oggi c’è il rischio di una nuova persecuzione, all’estero già in atto da diverso tempo. Si pensi alle legislazioni “anti-gay”, come quelle in Russia e in Polonia, con le leggi contro la propaganda omosessuale e con le aree gay-free. O all’Ungheria, con la lotta al cosiddetto “gender” e la persecuzione delle persone transgender. Paesi i cui leader sono punti di riferimento (nonché alleati) per la nostra destra sovranista. Giusto per avere il quadro più chiaro possibile.

E non dobbiamo credere che siano cose lontane da noi, che non possono toccarci: negli anni ‘20 e ‘30 in Germania c’era una vivace vita “arcobaleno”, con associazioni che lottavano per la depenalizzazione dell’omosessualità, bar gay e centri culturali Lgbt+. Poi il nazismo ha cancellato tutto, nel giro di pochissimi anni.

La Giornata della Memoria, insomma, non deve essere solo ricordo di una tragedia passata, ma monito per altre che potrebbero avverarsi. Perché la memoria coincide con l’idea che abbiamo del presente. L’oblio, invece, con il passato che rischia di tornare. E che è già in corso, fuori dai nostri confini, ma dentro la stessa Europa.