Scienza

I focolai in aula sono solo il due percento: ancora convinti che sia la scuola il problema?

Lo scorso 4 gennaio è stata pubblicata la replica del fisico Alessandro Ferretti a un mio post, nel quale spiegavo perché la scuola è uno dei contesti più sicuri. Nel mezzo di una pandemia globale, una crisi economica e una complessa campagna vaccinale, penso che l’ultima cosa utile per il Paese siano i confronti accesi tra scienziati. Ho risposto nei commenti e chi legge saprà farsi la propria idea.

Secondo questo articolo, non ci sono evidenze che la seconda ondata sia dipesa dalla scuola al di là di una correlazione temporale. Quando è stata riaperta in molti paesi europei a maggio non si è osservata nessuna seconda ondata. I giovani, specialmente i bambini sotto gli 11 anni, si ammalano con minor frequenza degli adulti e in modo meno grave e trasmettono di meno il virus. Sono proprio gli adulti che contagiano di più i giovani, non viceversa.

Io capisco che il docente che legge il post di Ferretti possa essere allarmato riguardo ai presunti contagi nelle scuole. Tra l’altro Ferretti trova più contagi nelle elementari che nelle superiori, in aperto contrasto con la letteratura sull’argomento. Anche se eventualmente li prendessimo per buoni, i dati di Ferretti nulla ci dicono sul fatto che i contagi siano avvenuti dentro o fuori la scuola, che è invece il punto cruciale. Ci sono però studi che si focalizzano proprio su questo specifico problema. Nella provincia di Reggio Emilia non è stato trovato alcun contagio secondario tra gli insegnanti di materne ed elementari, mentre qualche focolaio si è trovato nelle superiori.

Anche secondo il report Ecdc, il centro europeo per il controllo delle malattie, i focolai, ovvero più persone contagiate nella stessa classe, sono pochissimi nelle superiori e ancora di meno in materne e ed elementari. Il dato però più importante è contenuto nel report dell’Istituto superiore di sanità del 30 dicembre. Qui i focolai scolastici sono identificati come solo il 2% del totale. Lo riscrivo perché è importantissimo: il due percento. Certo, ci sono degli aspetti che possono suggerire che il numero potrebbe essere sottostimato (non tutte le regioni hanno fornito i dati) ma anche altri che suggeriscono potrebbe essere invece sovrastimato.

Le scuole sono molto più controllate rispetto agli altri ambienti (più si fanno test più si trovano postivi) e la presenza di più studenti positivi nella stessa aula potrebbe essere dovuta a semplice casualità. Ipotizziamo però che i focolai siano addirittura il doppio, il 4% o persino il triplo, 6%. Anche così, non sarebbe più utile concentrarci sui contesti dove c’è il restante 96% o 94% dei contagi piuttosto che continuare a invocare la chiusura di tutte le scuole?

Lo studio che però davvero dimostra che la scuola è sicura è della Società italiana di pediatria con l’ospedale pediatrico Bambino Gesù, l’Istituto di Ortofonologia e la Fondazione Mite, che ha eseguito dei tamponi a tappeto (hanno aderito il 96% di studenti e insegnanti) in una scuola di Roma, ove ci sono oltre 1200 persone tra personale Ata, studenti e docenti. Risultato: un numero irrisorio di bambini positivi da settembre, che non hanno trasmesso il virus agli atri.

Ecco le parole di Federico Carlo Perno, responsabile di microbiologia dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù: “…Quello che abbiamo visto è che il tasso di presenza del virus nelle scuole che abbiamo testato è un tasso più basso della media nazionale, non cresce nel tempo e soprattutto la scuola non è causa di focolai. I ragazzi si infettano fuori. Oggi abbiamo l’evidenza che una scuola che segue le regole ed è monitorata non è veicolo del virus, ma semmai è un luogo protetto”.

Riporto le parole di Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta: “Con le scuole aperte bambini, docenti e genitori sono tornati a sorridere. Le scuole chiuse creano problemi enormi e non abbiamo neanche idea di quanto pagheremo se dovessimo richiuderle”.

Sicuramente dobbiamo continuare a valutare tutte prove scientifiche disponibili, incluso lo studio di Ferretti se fosse pubblicato su una rivista scientifica piuttosto che solo su un blog. Nella scienza, però, non è mai il singolo studio che prova o esclude qualcosa, ma l’insieme delle evidenze valutate da persone competenti. Sicuramente, anche la questione della cosiddetta “variante inglese” deve essere approfondita, a partire dal fatto di verificarne la sua effettiva presenza in Italia.

Da Deputato della Repubblica, non posso che affidarmi a ciò che dice il Comitato tecnico scientifico, nelle parole del suo coordinatore, il dottor Miozzo, che si è espresso più volte raccomandando la riapertura senza se e senza ma. Ascoltiamo quindi le autorità sanitarie europee e italiane, riportiamo i nostri ragazzi e ragazze nelle aule.