Società

Il coronavirus non è la prima pandemia che vive l’uomo. Ma oggi potremmo fare molto meglio

“Se la storia si ripete e accade sempre l’imprevisto, l’uomo deve essere proprio incapace di imparare dalla esperienza!” scriveva nel 1903 George Bernard Shaw (Uomo e Superuomo: massime per rivoluzionari, in: Selected Plays with Prefaces, vol.3, p.742, 1948).

La Spagnola di cent’anni fa fece più di 50 milioni di vittime. Secondo le stime più prudenti, morì di Spagnola almeno il 2,5 per cento della popolazione mondiale. La pandemia si diffuse in tre/quattro ondate, che già citai in un post la scorsa primavera. La seconda fu cinque volte più intensa della prima e dieci volte più severa. In pochi mesi, colpì praticamente tutto il pianeta abitato, tra l’agosto e il novembre del 1919.

In Europa e negli Stati Uniti, le risposte della sanità pubblica seguirono le idee allora dominanti. Per la maggior parte furono misure solide, fondate su conoscenze scientifiche aggiornate, ma non dissimili da quelle adottate per la peste bubbonica nel medio evo e nell’età moderna: l’idea che il contagio si combatta con la quarantena e l’isolamento risale alla peste dell’età di Giustiniano.

La Spagnola trovò impreparata la sanità pubblica, consolidatasi alla fine del secolo XIX, perché un evento di proporzioni simili era considerato inconcepibile. E la prima guerra mondiale aveva prosciugato ogni risorsa, alimentando la retorica del nazionalismo, che da par suo reclamava risposte autoritarie. Come sentenziò l’editoriale del British Journal of Medicine del 19 ottobre 2019, buona ventilazione e aria fresca erano “la migliore tra tutte le misure generali di prevenzione, e questo implica evitare riunioni affollate”. Le autorità tradussero l’indicazione nella controversa e imperativa misura della chiusura di istituzioni pubbliche e provate e nel divieto di riunione.

Nel 2006, Richard Hackett del National Institute for Allergy and Infectious Diseases, riassumeva così la lezione della Spagnola:
1. Una pandemia scarsamente mitigata travolgerà le risorse mediche;
2. Senza una pianificazione preventiva e un piano di azione concordato, possono emergere conflitti tali da ritardare la risposta all’emergenza;
3. è cruciale trovare modalità di raccolta tempestiva delle informazioni in circostanze difficili;
4. è meglio che i leader politici siano sinceri piuttosto che minimizzare ciò che sta accadendo;
5. i decisori sanitari devono rendersi conto che, in una pandemia, non si possono far tutti felici e contenti.

È stata una lezione ascoltata? “Nonostante le cose siano molto migliorate dal 1918, governi e sistemi sanitari rimangono preparati in modo ancora inadeguato di fronte a una grave pandemia influenzale simile a quella del 1918” concludono Jester, Ukeki e Jernigan in un articolo pubblicato dall’American Journal of Epidemiology nel centennale della Spagnola.

La storia, antica e recente, poco ha insegnato. Come scrive Laura Spinney in Pale Rider: The Spanish Flu of 1918 and How it Changed the World (New York: Public Affairs, 2017) la Spagnola viene ricordata in modo individuale attraverso i milioni di tragedie personali, ma è del tutto assente nell’analisi storica di ciò che accadde all’umanità sotto il profilo collettivo. Se i milanesi avessero il dono della memoria a lungo, lunghissimo termine, potrebbero ricordare la risposta locale alla trecentesca peste bubbonica che, nata in Asia centrale, era stata diffusa dai Genovesi attraverso la loro rete commerciale, devastando l’Europa intera.

Raramente i governi sono stati capaci di prendere decisioni efficaci in difesa dei governati, se già Agamennone e Achille litigavano mentre la gente moriva per il morbo maligno diffusosi nell’accampamento degli Achei; e se la Spagnola si risolse in un disastro più grave di quello prodotto dalla prima guerra mondiale. In quel frangente, immortalato da Boccaccio nel Decamerone, il governo visconteo fu invece protagonista di una rara eccezione.

Scrive Pietro Verri (Capitolo XII della Storia di Milano, 1783) che Lucchino Visconti “preservò Milano dalla peste l’anno 1348”. Dopo la morte dello zio paterno, Azzone, era asceso al potere nel 1341 assieme al fratello Giovanni, di “placido e benigno carattere, che non volle mai contrastare col risoluto e qualche volta violento Luchino” secondo lo stesso Verri.

E Lucchino prese il toro per le corna, come tramanda Giuseppe Ferrario (Statistica medica di Milano, Milano: Giuseppe Bernardoni di Gio, 1838): “L’orribile peste bubbonica che dominò dal 1345 al 1348, sotto il nome di “atra morte”, e che fu descritta dal Boccaccio, spopola l’Europa e molti paesi d’Italia. Milano però viene preservata da sì tremenda pestilenza per le varie disposizioni sanitarie prese da Lucchino Visconti”. Come? Tramite un severissimo lockdown. Non fu il solo, perché re Casimiro II di Polonia adottò misure analoghe di chiusura dei confini e di contenimento sanitario. Ma furono entrambi casi isolati.

Sono soltanto le misure draconiane a contenere la pandemia? Non sempre né dappertutto. Metodi di monitoraggio e controllo avanzato, intelligente e statisticamente coerente possono svolgere un ruolo fondamentale, come mostra la distribuzione spaziale del Covid-19 monitorata giornalmente dalla John Hopkins University. Nel terzo millennio, la scienza e la tecnologia hanno compiuto enormi passi avanti non solo rispetto al basso medio evo, ma anche all’epopea della peste manzoniana e al pianeta frastornato dalla prima guerra mondiale. L’umanità e, soprattutto, chi la governa potrebbero fare anche e molto meglio di Lucchino.