Società

Jerusalema, perché multare l’ufficiale? Non prendiamoci in giro, quel balletto è un successo

In queste ultime ore grande scandalo perché i cadetti di una scuola di marina italiana hanno ballato, di fronte al pubblico, schierati e in divisa, la canzone Jerusalema. Per fare il punto. La canzone è nata da un Dj (Master KG) e cantata da Nomcebo. In parte cantata in inglese in parte nella lingua locale, il Khelobedu, parlato dalla tribù Balobedu, parte del gruppo etnico del nord Sotho.

È nata in Sud Africa una nazione che ha una fusione di razze, etnie, Dna importante: almeno 13 nazioni pre-occidentali. A cui poi si sono spalmate e integrate boeri, francesi ugonotti, inglesi, indiani e molti altri. Se a qualcuno questa sonorità può sembrare familiare è forse perché gli ricorda il famoso Waka Waka. Il ritmo era africano, cantato da un gruppo locale, venne poi “rubato” da Shakira che ne fece una hit. Questa volta è tutto made in Africa, il che dimostra che anche questa nazione, per chi non lo avesse compreso, può sfornare delle hit e ha una cultura locale fervida e creativa (Nollywood macina più blockbuster di Bollywood, fatte le proporzioni!).

La canzone è stata registrata fine 2019, divenuta virale su Youtube e poi giunta anche alle orecchie dei cadetti della marina italiana. Oltraggio nazionale (quanto meno presso l’ammiragliato) che vuole multare l’ufficiale che l’ha ballata, legittimando l’intera squadra schierata a fare lo stesso. La smettiamo di prenderci in giro? A mio avviso questo è un successo e mi voglio spiegare bene.

I soldati di tutto il mondo, quando schierati sui campi di battaglia, rischiano la pelle. Non sono calciatori strapagati il cui massimo rischio per la vita è prendersi un calcio sugli stinchi, non sono attori che si lamentano perché la loro candela la profumo di vagina non è stata capita dal pubblico, non sono influencer che mostrano come fare (in modo vergognoso) una pizza e ricevono migliaia di like.

I soldati, qualunque esercito moderno o passato, sono gente che per spirito di patria si schierano a difesa degli interessi nazionali (definizione amplia, non siamo naive). Ovvio le missioni all’estero son pagate piuttosto bene. Bene, se paragonate alla paga da fame di tutti coloro che sono schierati a svolgere le mansioni più importanti e meno valutate (polizia, pompieri, infermieri, militari etc..) ricevono a fine mese.

Perché rischiare la vita, prendersi una manganellata, prendersi un virus mortale o bruciare vivo in un incendio e portare a casa poco meno di 1500 euro io non lo considero una paga bastante per sacrificare, in uno scenario estremo, la propria vita.

E torniamo ai nostri cadetti. Hanno fatto una cosa veramente così orribile? No, sono militari, giovani, forse in un futuro schierati in missioni anti-pirateria in Somalia, per difendere i carichi di merci che noi compriamo su Amazon (e ci vengono spediti dalla Cina via nave!), o per salvare vite nel mare. Rischieranno la propria vita, come i colleghi che li hanno preceduti.

Sono gli unici ad aver osato scaricare la tensione presente ballando? Nemmeno per sogno. I più ballerini sono forse i soldati americani. Dall’Afghanistan all’Iraq i balli dei marines e dei fanti vanno da What is love a Call me Maybe, con la gentile partecipazione delle Miami dolphin girl (le cheerleader della omonima squadra). I russi non sono niente male, un po’ classici forse. Ovviamente non potevano mancare i soldati africani (Ghanesi) che danzano la stessa Jerusalema. La lista sarebbe infinita ma mi fermo qui.

Sarebbe bello che l’Ammiragliato comprendesse, invece di dare una multa a questo ufficiale, che i soldati di ogni armata e nazione rischiano la vita, e, spesso, sono anche sinonimo di supporto e aiuto presso i civili. Comprendere questo e far si che possano dimostrarsi “più umani” non credo sia un errore anzi. Diversamente mandiamo i robot in guerra, così non sono umani ed eseguono gli ordini senza porre domande e senza manifestare pietà.

Ricordo, in ultima istanza, che, tra gli eserciti, gli italiani, per le missioni di pace, sono sempre i più richiesti. Quella normalità, umanità e senso di “casa” che i nostri militari riescono a infondere nelle popolazioni straniere che stanno proteggendo (dalla distribuzione di cibo e la creazione di improvvisati ristoranti locali per la popolazione) è qualcosa di impagabile. E tutto nasce dall’essere umani, e se ogni tanto si balla, capita… di essere umani.