Cronaca

Caso dei camici, Attilio Fontana e il silenzio sullo scudo fiscale multato dall’Anac. Il presidente della Lombardia: “Non mi dimetto”

Era il 2017 e l'Autorità nazionale anticorruzione inflisse una sanzione da 1000 euro per aver omesso nel 2016, da ex sindaco di Varese, l’obbligatorio stato patrimoniale nel quale sarebbero comparsi i 5 milioni di scudo fiscale nel 2015

Il caso dei camici e il suo coté sullo scudo fiscale del governatore della Lombardia, Attilio Fontana, riserva un’altra sorpresa. Il presidente leghista, che ieri in consiglio regionale ha nuovamente cambiato versione, fu multato, come rivela il Corriere della Sera, per il suo silenzio per il rientro di quei soldi dalla Svizzera. Era il 2017 e l’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) inflisse una sanzione da 1000 euro per aver omesso nel 2016, da ex sindaco di Varese, l’obbligatorio stato patrimoniale nel quale sarebbero comparsi i 5 milioni di scudo fiscale nel 2015. Una sanzione non pubblica ma che apparve nella sezione “amministrazione trasparente” del sito online del municipio in un linguaggio oscuramente burocratico. A far scattare l’azione dell’Anac il responsabile anticorruzione del Comune costretto alla segnalazione perché l’allora prima cittadino non aveva presentato la sua situazione patrimoniale così come previsto dalle norme per la trasparenza. Ma a fronte di una piccola multa l’onore poteva essere salvo e comunque l’anno dopo la situazione patrimoniale poteva essere di nuovo ostensibile.

Eppure il governatore non ci pensa affatto a fare un passo indietro. In una intervista a Repubblica alla domanda se stia pensando alle dimissioni l’esponente del Carrocio risponde: “Scherza? Di benzina nel serbatoio ne ho tantissima, anzi devo accelerare per consumarla un po’”. I magistrati “devono svolgere il proprio compito e accertare la verità. Ci mancherebbe altro”, chiarisce a proposito dell’inchiesta sulla fornitura di camici, in cui è indagato per frode in pubbliche forniture, da parte della Dama Spa, azienda del cognato Andrea Dini. “Ritengo che Aria – aggiunge – abbia svolto bene il suo lavoro. Chi non comprende il livello di gravità ed emergenza nella ricerca spasmodica di presidi per medici e infermieri, o è stupido o è in malafede. Inoltre ricordo che tutti gli acquisti svolti in quella fase erano in regime di emergenza e seguivano procedure eccezionali tali da non richiedere la sottoscrizione del patto di integrità. Glielo dico ancora una volta. Deve essere chiaro a tutti che in quei giorni contavano i minuti e quindi ogni elemento che portava ritardi nella procedura metteva a rischio vite umane. L’elemento più importante e che nessuno sottolinea è che la Regione Lombardia – sottolinea Fontana – non ha tirato fuori un euro. E se questo è accaduto è perché io ho fatto rilevare la inopportunità di quella situazione”.

“Ho spontaneamente considerato di alleviare in qualche modo il peso economico della operazione di mio cognato – ribadisce Fontana – partecipando io stesso personalmente – proprio perché si trattava di mio cognato – alla copertura di una parte di quell’intervento economico. Si è trattato di una decisione spontanea, volontaria e dovuta al rammarico di constatare che il mio legame di affinità aveva solo svantaggiato una azienda legata alla mia famiglia”. Sui soldi ‘scudati’ il governatore poi sottolinea: “Anzitutto quello all’estero era un conto che avevano i miei genitori, una cosa purtroppo di moda a quei tempi. Poi, alla morte di mio padre il conto passò a mia madre. Morta mia mamma, a 93 anni, io l’ho ereditato e l’ho dichiarato nel rispetto delle leggi italiane e pagando il dovuto”. Erano soldi frutto di evasione fiscale? “Ma che dice? I miei hanno sempre pagato tutte le tasse, mio papà era dipendente della mutua, mia madre era una super-fifona, figurarsi evadere… Non so davvero dirle perché portassero fuori i loro risparmi. Comunque era un conto non operativo da decine di anni, penso almeno dalla metà degli anni Ottanta”. Però su cui era meglio comunque tacere.