Lavoro & Precari

Smartworking, “Da 15 anni lavoro così, ma non si può improvvisare. Bisogna essere formati. E non deve servire alle aziende per tagliare costi”

“Lo smartworking? Non si può improvvisare perché altrimenti quella che può essere una grande opportunità può trasformarsi in un modo come un altro, per le imprese, di scaricare i costi di produzione sui dipendenti”. A parlare è Francesco Caratozzolo, ingegnere del 1984 che da oltre 15 anni lavora per aziende che fanno largo uso del lavoro “intelligente”. Il Fattoquotidiano.it ha chiesto a Francesco di spiegare quali siano le differenze che rendono, appunto, smart, quello che potrebbe semplicemente essere classificato come “lavoro da casa” o telelavoro.

Innanzitutto bisogna “riconoscere che è un’attività che necessita di copertura assicurativa ad hoc”. Infatti, anche se svolto a distanza basandosi più sugli obiettivi che sugli orari, “deve garantire lo stesso livello di salvaguardia”. Ma non solo. Ad esempio gli strumenti di lavoro dovrebbero essere forniti dall’azienda e sarebbe necessario concordare le modalità in base alle condizioni familiari, offrendo delle alternative a chi si trova logisticamente impossibilitato a lavorare ‘da casa’. “Fa risparmiare molto tempo e stress, ma bisogna essere formati e preparati a lavorare così. Soprattutto lo smartworking non può essere la forma esclusiva di un rapporto di lavoro, che necessita sempre di momenti di condivisione fisica: niente può sostituire le relazioni informali che si instaurano anche semplicemente in pausa caffè o a mensa”, spiega ancora Francesco attualmente project manager in ricerca e sviluppo nella sede genovese di una multinazionale.

E dopo il lockdown? Se, come probabile, sarà necessario ripensare il lavoro, secondo Francesco che si è confrontato con lo smartworking non solo in Italia ma anche in Inghilterra e negli Stati Uniti, “non si potrà prescindere da linee guida nazionali”. “Anche sentendo amici di altre aziende che non erano preparati a questa situazione è evidente che servano dei paletti – continua – che evitino l’esclusione dei lavoratori più fragili. Quello che può rappresentare un progresso per i diritti dei dipendenti e la qualità della vita, non può diventare un modo come un altro per ridurre i costi, abusare della disponibilità e reperibilità dei dipendenti andando anche a intaccare l’equilibrio essenziale tra vita privata e lavoro”. Il tutto, conclude, va bilanciato tra responsabilità dell’azienda, che deve garantire “formazione, progettazione e infrastrutture”, e del lavoratore che deve “portare avanti il suo lavoro nella maniera più efficiente possibile”.