Società

Coronavirus, gli adulti fanno i capricci e i bambini ci insegnano a vivere

R., un uomo di cinquant’anni mi dice che non ce la fa. “Ho superato momenti difficili nella vita, ma questa privazione di libertà io la vivo male. Non resisto”. F., una signora di 84 anni, dall’altra parte della finestra, qualche settimana fa mi diceva che se non avessero riaperto tutto lei sarebbe uscita comunque. “Non mi ferma nessuno”.

La cassiera del supermercato mi racconta, con parole incastrate nella mascherina, che moltissimi anziani vengono a fare spesa ogni giorno perché non riescono a rinunciare al pane fresco quotidiano. Le forze dell’ordine del mio paese sostengono che, invece, sono rimasti piacevolmente sorpresi dai ragazzi e dal loro comportamento impeccabile.

È due mesi che esco una volta alla settimana per fare spesa (a fine settimana il frigo ulula) e se da un lato con tre figli potrei essere giustificata a uscire qualche volta in più, dall’altra credo che se vogliamo dare una sterzata a questa situazione bisogna farlo dai piccoli gesti, con caparbia e silenziosa resistenza.

Ci sono giorni in cui resistere sembra più in salita che lo Zoncolan, quando sei convinto che sia quasi ora di cena ma l’orologio ti dice che sono solo le quattro. È dura perché il futuro è incerto, confuso e oscuro, non c’è al momento nessuno che sia in grado di indicare una strada precisa da seguire, piuttosto una moltitudine di incroci e vicoli ciechi.

C’è stato un momento, all’inizio del lockdown, in cui tutti dicevano più o meno la stessa cosa, che quando sarebbe finita si sarebbe fatta una festa di giorni con sbronze degne dei Mondiali del 2006, quando il cielo si tinse di azzurro sopra Berlino (cit.). Lentamente, ma inesorabilmente, siamo tutti arrivati alla conclusione che non ci sarà affatto una festa, perché siamo ancora troppo lontani dalla fine e non c’è proprio niente da festeggiare.

È un momento storico complesso e frustrante per tutti, ma sembra che per alcuni lo sia maggiormente e credono che sbraitarlo in perpetuum glielo faccia apparire più tollerabile. Come la donna che ieri alla cassa ha comprato centoventi euro di alcolici e urlava, al telefono con un amico, che quella sera avrebbe festeggiato il suo compleanno in compagnia, perché tanto “anche se le facevano la multa non l’avrebbe mai pagata.” Guardandola ho pensato a quello che ha detto recentemente Guccini: “Quando tutto sarà finito gli uomini non saranno affatto migliori.”

In questi momenti non riesco a capire se prevalga lo sconforto o la rabbia. Ripenso a tutti i commenti, mugugni, rigurgiti letti e rimbalzati in questi giorni, in cui in troppi scalpitano e si lagnano delle condizioni dettate dal governo per la fase 2. Del fatto che le libertà lentamente concesse non siano ancora soddisfacenti. Come se ad oggi, con una situazione non ancora esente da morti o contagi, ci si potesse trovare al bar a sfondarsi di Spritz e Moscow Mule come se niente fosse successo.

L’uomo è sempre convinto che la sua libertà sia un po’ più irrinunciabile, preziosa e rivendicabile che quella di un altro. Perché è per natura autoreferenziale, focalizzato a guardare il proprio mondo interiore fatto di bisogni, anziché guardare il quadro d’insieme.

Nel frastuono dei capricci degli adulti, c’è una parte delle popolazione che ha accettato questa situazione con una naturalezza disarmante: bambini e ragazzini. Con una leggerezza di adattamento simile all’acqua trottano verso il loro futuro – nonostante si siano visti negare il loro presente – con la placida forza della vita. Non vuol dire che non siano toccati dal rombo del terremoto ma riescono, grazie a un bagaglio di chilometri percorsi di molto inferiore al nostro, a relativizzare il nuovo presente, la nuova normalità.

Forse la chiave di lettura sta lì. Per un bambino il presente è tutto, mentre noi adulti a fatica riusciamo a discostarci dal passato – che in un momento come questo ci sembra abbagliante e privo di brutture – o dal programmare il futuro – ora fonte di ansia e dubbio.

L’uomo quando guarda gli eroi punta lo sguardo verso l’alto, verso idoli inarrivabili, oggi più che mai dobbiamo guardare più in basso, alla semplicità e umiltà che diventa resilienza (parola inflazionata di cui mi chiedo in quanti applichino davvero il significato). Si è pensato ai cani, agli sportivi, ai pescatori, perfino a chi possiede cavalli, di loro il mondo se ne è come dimenticato, sapendo forse inconsciamente che a volte i bambini bastano a se stessi. Loro, che come aquiloni si svegliano ogni mattina pronti a vivere un altro giorno inseguendo il vento, ovunque esso soffi.