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Ungheria: con la scusa del coronavirus, Orbán introduce due nuovi reati contrari al diritto internazionale

Le misure sanitarie adottate dai governi nella maggior parte dei casi non riescono a stare al passo con la velocità di diffusione del coronavirus. Quelle repressive, invece, spesso sì.

Per alcuni governi già autoritari in tempi normali, la pandemia da Covid-19 è la scusa perfetta per rafforzare poteri già eccessivi.

Il caso di scuola è l’Ungheria, dove il 30 marzo con 137 voti a favore 53 contrari e zero astenuti il parlamento ha approvato una legge che autorizza l’Esecutivo a governare, ai sensi dello stato d’emergenza, attraverso decreti, senza alcuna supervisione efficace, senza una chiara data di chiusura e senza revisioni periodiche.

La legge ha anche introdotto due nuovi reati incompatibili con le norme e gli standard del diritto internazionale dei diritti umani: chiunque diffonda informazioni false o distorte che interferiscano con “l’efficace protezione” della popolazione o crei in essa “allarme e agitazione” potrà subire una condanna fino a cinque anni di carcere. Inoltre, chiunque interferisca nell’esecuzione di ordini di quarantena o di isolamento potrà essere a sua volta punito con cinque anni di carcere, che diventeranno otto se quell’interferenza sarà causa di morte.

Durante i suoi anni come primo ministro, Orbán ha presieduto a un arretramento dei diritti umani, ha aizzato l’ostilità nei confronti di gruppi marginalizzati e ha cercato di ridurre al silenzio le voci critiche. Ha fatto la guerra contro i migranti e i richiedenti asilo, ha criminalizzato le Ong, ha vietato la diffusione dei comunicati di Amnesty International e Human Rights Watch, ha messo il bavaglio alla stampa indipendente, ha minacciato l’indipendenza del potere giudiziario.

Ora, con la scusa del coronavirus, il cerchio si è chiuso.

A meno che la reazione degli altri Stati membri e degli organismi dell’Unione europea non sia più incisiva. C’è di che attivare l’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea, che contempla la sospensione dei diritti di stato membro a seguito del mancato rispetto dei valori fondanti descritti all’articolo 2.

Intanto, va sottolineato che appena il 2 aprile la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che l’Ungheria (insieme a Polonia e Repubblica Ceca) è venuta meno agli obblighi previsti dal diritto dell’Unione europea. I tre paesi sono stati giudicati inadempienti rispetto a una decisione del 2015 che il Consiglio europeo aveva adottato ai fini della ricollocazione, su base obbligatoria, dalla Grecia e dall’Italia, di 120.000 richiedenti protezione internazionale verso gli altri Stati membri.