Politica

Prescrizione, nomine, Agenda 2023: una settimana di test (e di rischi) per la tenuta del governo tra vertici e voti in Aula

Oggi a Palazzo Chigi tre tavoli di lavoro nell'ambito di quella che viene chiamata "Agenda 2023", mentre a Montecitorio si vota in Aula sul Milleproroghe, con possibile voto di fiducia mercoledì. Al Senato la blindatura dell'esecutivo potrebbe essere posta sul decreto intercettazioni. Tutti gli appuntamenti dei prossimi giorni, fino a venerdì

È finita la crisi all’interno della maggioranza? O deve ancora cominciare? Interrogativi sospesi dopo una settimana ad alta tensione e che adesso toccherà all’aula di Montecitorio sciogliere. È dalla Camera, infatti, che l’esecutivo di Giuseppe Conte prova a ripartire. Mentre il premier presiederà a Palazzo Chigi tre tavoli di lavoro nell’ambito di quella che viene chiamata “Agenda 2023” – come la fine naturale della legislatura – a Montecitorio dovrebbe essere posta la questione di fiducia sul decreto Milleproroghe, da attendere mercoledì. Qualche centinaio di metri più in là, a Palazzo Madama, la fiducia potrebbe essere posta invece sul decreto intercettazioni, con votazione possibile martedì. Che farà Italia viva? Voterà in entrambi i rami del Parlamento con le altre forze di maggioranza? O continuerà a soffiare sul fuoco di una crisi che sembra non essersi ancora spenta, con continui avvertimenti sulla propria “presenza indispensabile” in maggioranza?

Il calendario – Saranno giorni di continue prove per la maggioranza, dunque. Per i prossimi dieci giorni il calendario è un labirinto di fuoco. A parte le prove in Aula e i tavoli sull’agenda, martedì – con l’esame del decreto intercettazioni – Forza Italia ripresenterà l’emendamento sulla prescrizione già votato in commissione. Il partito di Renzi è pronto a ri-votarlo, allungando la distanza con Pd e M5s. Ma a stoppare l’operazione potrebbe essere il voto di fiducia del governo sul decreto. Sempre il 18, il Senato voterà per eleggere due componenti del Garante per la privacy e dell’Autorità per le comunicazioni, dove forse potrebbero emergere i primi voti simili ai “responsabili”. Non si prevedono sorprese, anche perché la posta in gioco più alta, con il rischio di fronti opposti tra Pd e M5s, è sulle nomine di società partecipate come Enel, Eni, Poste e Mps, Terna, Enav. Mercoledì il balletto riprende alla Camera con la fiducia sul Milleproroghe. Lo stesso giorno a Montecitorio, sul tavolo della commissione Giustizia ci sarà la proposta di legge del forzista Enrico Costa che punta a ripristinare la prescrizione allo stato pre-riforma dei 5Stelle. Dunque rischiosissimo. Il ddl dovrebbe arrivare al voto dell’Aula il 24 febbraio. Il 19 è anche il giorno della spola di Conte tra Senato e Camera per riferire sul bilancio comunitario in vista del Consiglio europeo del 20 febbraio, mentre lo stesso pomeriggio Iv fa sapere che Renzi tornerà a Porta a Porta. Giovedì 20: Italia Viva incontrerà la stampa per lanciare il suo piano per le infrastrutture, mentre per il 27 è previsto un evento sulla giustizia. Venerdì 22: il Pd si ritroverà in assemblea. E lo stesso farà quel giorno Iv, che il 2 marzo volerà agli Stati generali.

I voti dei renziani con la Lega – Negli ultimi sette giorni per tre volte il piccolo partito di Matteo Renzi ha votato con Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. In due casi si trattava di voti sul Milleproroghe nelle commissioni riunite di Montecitorio, ma legati a emendamenti sulla prescrizione, eterno casus belli che da mesi turba i sonni della maggioranza. Le tre norme – una di +Europa, una di Forza Italia e una della stessa Italia viva – non sono passate ma il clima all’interno dell’esecutivo è diventato incandescente. Giovedì notte il consiglio dei ministri ha approvato sia il lodo Conte bis sulla prescrizione che il ddl sulla riforma del processo penale senza le ministre d’Italia viva. I renziani hanno cominciato a parlare di crisi e di mozioni di sfiducia ad personam per il ministro della giustia, Alfonso Bonafede. Renzi prima ha tenuto aperta la spaccatura: “Se Conte vuole cacciarci faccia pure”. Poi ha fatto sapere che i suoi avrebbero votato la fiducia al Millepreroghe. Il premier, da parte sua, nella notte del Cdm senza i renziani ha deciso di esporsi con una sorta di ultimatum agli alleati perché “chiariscano” le loro intenzioni “davanti agli italiani”. Poi dalla Calabria, dove era andato a presentare il Piano del Sud il premier ha usato toni distesi: “Le mie porte sono aperte”. Quindi, sabato mattina, il premier è salito al Quirinale per conferire con il presidente della Repubblica.

Conte al Colle – Un colloquio informale che si è prestato a molteplici interpretazioni: di cosa hanno parlato Conte e Mattarella? Di come blindare la maggioranza, cioè dell’annessione di questi fantomatici “responsabili” pronti a sostenere l’esecutivo al Senato, in caso di defezione dei renziani? Palazzo Chigi e il Quirinale hanno smentito le ricostruzioni dei giornali. “Il premier non è alla ricerca di altre maggioranze diverse da quella che attualmente sostengono il governo”, ha buttato acqua sul fuoco la presidenza del consiglio, spiegando che “Conte è impegnato con i tavoli di lavoro per l’agenda di governo 2023, tavoli a cui partecipano tutte le forze di maggioranza, Iv inclusa. L’unico pensiero del presidente è rilanciare l’azione di governo per far partire le tante riforme che il Paese aspetta”. E infatti il premier è atteso stamattina a Palazzo Chigi per presiedere prima il tavolo su Scuola, Università, Ricerca e Innovazione digitale, poi quello sulla Salute e infine quello su Sicurezza e immigrazione.

L’altro fronte: dem contro renziani – Crisi rientrata dunque? Non proprio visto che se Palazzo Chigi ha cercato di ricomporre la frattura, in previsione proprio del voto di fiducia sul Milleproroghe, un nuovo fronte di scontro si è aperto tra renziani e democratici. Il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano ha detto che”prima di cercare nuove maggioranze bisogna fare chiarezza su questa“. “Non parlo della verifica di governo – ha chiarito l’esponente del Pd – Italia Viva la verifica la deve fare su se stessa. Alimentare costantemente polemiche distrae le energie dal rilancio del paese, penso che sia grave”. Insomma: per Provenzano non si può semplicemente far finta di nulla. A infiammare i rapporti tra ex compagni di partito è però soprattutto Goffredo Bettini, ex eurodeputato Pd, da sempre molto vicino a Nicola Zingaretti, che su facebook ha scritto: “Oggi è chiaro a tutti, tranne ai fanatici, che la condotta di Renzi pone problemi acutissimi al campo democratico e al governo Conte”. L’ex dirigente dei Ds si chiede: “Quanta pazienza si può avere ancora con il fiorentino? Difficile dirlo. I margini, comunque, sono molto risicati. Ecco perché consiglio, in attesa di scelte più sagge di Italia Viva, di preparare al più presto scenari alternativi. Dopo Conte non c’è per il Pd un altro governo. Se Renzi vuole farlo, lo deve fare con Salvini e la Meloni”. In pratica il fedelissimo del segretario dem ipotizza un vero e proprio cambio di maggioranza: via i renziani, dentro i responsabili. “C’è invece la possibilità, certamente allo stato attuale tutta da costruire, di sostituire Italia Viva con parlamentari democratici (in quanto non sovranisti, illiberali e autoritari) pronti a collaborare con Conte fino alla fine della legislatura. Penso anche che, in questo scenario, nel Parlamento si aprirebbe una riflessione perfino nel gruppo renziano – conclude Bettini. Si deve lavorare subito, dunque, per allargare la maggioranza che sostiene il premier rendendo scarica la minaccia della crisi”.

La miccia di Bettini – Complice anche uno scambio su facebook tra Rocco Casalino e Michele Anzaldi, i renziani sono subito tornati ad affilare le armi sui social. “Quello che ha detto Bettini resterà alla storia come l’autogol storico del Pd. Vogliono far fuori Renzi per sostituirlo con tanti Razzi e Scilipoti. A questo punto non resta che sperare per il Pd che l’operazione funzioni”, ha twittato Davide Faraone. Ma è soprattutto con le veline che Italia Viva ha ricominciato a lanciare avvertimenti: “Se davvero Conte non riuscisse a portare a casa i responsabili, ed è difficile immaginare che il tentativo riesca, per il premier ci sarebbero solo due strade: o un accordo con quel Renzi che fino ad oggi è stato attaccato dalle veline di Chigi e direttamente dal premier o le dimissioni”.