Giustizia & Impunità

Dj Fabo, le motivazioni dei giudici: “Scelse di morire. Solo dopo Cappato lo aiutò”

Il 23 dicembre scorso i giudici della corte d'Assise di Milano aveva assolto l'esponente radicale e dell'Associazione Coscioni finito a processo per aver accompagnato Dj Fabo in Svizzera per morire. I giudici hanno depositato le motivazioni del verdetto scaturito dalla storica decisione alla Consulta

“Il fatto non sussiste”. Il 23 dicembre scorso i giudici della corte d’Assise di Milano aveva assolto Marco Cappato finito a processo per aver accompagnato Dj Fabo in Svizzera per morire. I giudici hanno depositato le motivazioni del verdetto scaturito dalla storica decisione alla Consulta. “Le emergenze istruttorie hanno (…) dimostrato che Marco Cappato ha aiutato Fabiano Antoniani a morire, come da lui scelto, solo dopo aver accertato che la sua decisione fosse stata autonoma e consapevole, che la sua patologia fosse grave e irreversibile e che gli fossero state prospettate correttamente le possibilità alternative” come il rifiuto alle cure.

I giudici della Corte costituzionale avevano stabilito che è lecito l’aiuto al suicidio nei casi come quelli del Dj Fabo, cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale. I giudici avevano ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Quindi i giudici dell’Assise, di fatto, ricalcano quelle motivazioni. Era stata già la Consulta, scrivono i giudici milanesi, a “escludere l’illiceità della condotta di agevolazione contestata a Marco Cappato” nella vicenda di Fabiano Antoniani e lo fece “implicitamente con riguardo all’autonomia, libertà e consapevolezza che avevano connotato la sua decisione di porre fine alla sua vita, espressamente con riguardo alla ricorrenza delle condizioni di salute che legittimavano l’agevolazione della sua scelta”.

In attesa di un “indispensabile intervento del legislatore”, la Consulta aveva “subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Ssn, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”. La Corte aveva sottolineato inoltre che “l’individuazione di queste specifiche condizioni e modalità procedimentali, desunte da norme già presenti nell’ordinamento, si è resa necessaria per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già sottolineato nell’ordinanza 207 del 2018. Rispetto alle condotte già realizzate, il giudice valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate”.

I giudici dell’Assise milanese escludono, nelle motivazioni, che l’esponente radicale e dell’Associazione Coscioni abbia agevolato il suicidio di Dj Fabo. Cappato era a processo per aver accompagnato Antoniani in Svizzera nel febbraio 2017 per mettere fine alla sua vita nella clinica Dignitas. Cappato lo aveva aiutato con i preparativi sul piano legale e logistico. In udienza l’imputato aveva detto che il suo gesto è stato dettato da “una motivazione di libertà, di diritto all’autodeterminazione individuale, laddove non è la tecnica del tenere in vita o del far morire che è rilevante, ma la libertà di autodeterminazione, quella sì che è rilevante”. L’avvocata Filomena Gallo aveva parlato di “un atto di disobbedienza civile” e aveva chiesto l’assoluzione in base a “principi costituzionali” come il “diritto all’autodeterminazione, quale è stato quello di Cappato”. La procura di Milano, che aveva chiesto l’archiviazione dopo le indagini, aveva chiesto l’assoluzione.

“La Corte d’Assise – ricorda Gallo – rileva la presenza delle quattro condizioni imposte dalla Consulta con sentenza 242/19 per escludere la punibilità della condotta di aiuto al suicidio e la sussistenza dei 3 requisiti procedimentali, ovvero: verifica delle condizioni del malato da parte di un medico, volontà del malato espressa in modo chiaro e univoco e adeguata illustrazione al malato della possibilità di interrompere la propria vita attraverso sedazione profonda e contemporanea sospensione del trattamento di sostegno vitale”. La Corte di Milano ritiene dunque “non punibile la contestata agevolazione al suicidio perché rientrante nella circoscritta area di non conformità costituzionale dell’art. 580 cp individuata dalla Consulta”, spiega la segretaria dell’Associazione Luca Coscioni. “Pertanto, la formula assolutoria adottata – aggiunge- è di insussistenza del fatto. Attualmente la sentenza costituzionale 242/2019, costituisce un punto di partenza per garantire tutte le scelte di fine vita nel nostro Paese. Da qui il legislatore deve partire per affermare con legge la possibilità di porre fine alle proprie sofferenze attraverso l’aiuto medico alle persone capaci di prendere decisioni libere e consapevoli, con patologie irreversibili fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che personalmente trovano assolutamente intollerabili“.